Si è concluso ieri a Genova Slow Fish 2019, con la conferma che i genovesi amano mangiar bene, come amano il mare e il pesce. Nella 4 giorni, da giovedì a domenica, oltre alla festa e al susseguirsi di stand gastronomici che hanno promosso le eccellenze locali di tutto il territorio nazionale e alcuni miti internazionali (uno per tutti il pesce essiccato giapponese), ampio spazio è stato dato alla formazione e al dibattito, per migliorare la consapevolezza dei consumatori sui prodotti ittici.
Ieri pomeriggio si è svolto un incontro dal titolo “Il pesce va in città: tendenze, abitudini e buone pratiche di acquisto”, utile non solo ai tanti gourmet presenti, ma a tutti coloro che si trovano di fronte all’acquisto di un alimento sempre più presente nelle nostre diete. Dati Fao relativi all’Italia evidenziano che, negli ultimi 20 anni, il consumo di pesce è raddoppiato sulle nostre tavole, arrivando a circa 20 kg pro capite all’anno. Ma quale pesce consumiamo? Siamo in grado di avere comportamenti sostenibili, che rispettino i cicli riproduttivi e le normali stagionalità? Siamo autonomi nella scelta o dipendiamo da chi ci vende il prodotto?
Ad affrontare questi argomenti, fornendo una sintetica antropologia del consumo di pesce in Italia, Nadia Repetto, biologa della condotta Slow Food Liguria, nel ruolo di moderatore dell’incontro. Con Nadia Repetto, al tavolo c’erano: Beppe Gallina, pescivendolo torinese, da 40 anni attivo a Torino; Roberto Di Lernia, biologo milanese al centro del progetto Blue food, future? che ha lo scopo di monitorare i luoghi di acquisto del pesce (dalla gdo ai ristoranti), per mappare il consumo e definire uno stato dell’arte dei comportamenti del consumatore ittico in Italia. Al tavolo dei relatori anche Daniele Mugnano, cofondatore del progetto Fish box, con il fine di rivendere ai gruppi di acquisto di tutta Italia il pesce pescato nel tratto di mare Adriatico che va dal sud di San Benedetto del Tronto fino al Gargano e oltre: una soluzione di commercializzazione a filiera corta, controllata e garantita che rispetta il ciclo della natura e prova a dare una risposta alla richiesta di freschezza del prodotto e alla necessità di rispettare gli ecosistemi, la stagionalità e la biodiversità legata ai nostri mari.
Secondo i relatori, il consumatore di oggi è più attento e consapevole che in passato, tuttavia conserva alcuni preconcetti e pregiudizi indotti dalla comunicazione di massa e diffusi per troppo tempo. Se i giovani sono più disponibili ad acquistare un pesce di cui non conoscono il nome, i più attempati preferiscono branzini, orate e pesce spada. Questo produce la necessità da parte del mercato di creare colture intensive per queste specie, che non garantiscono la migliore qualità possibile. Inoltre, parlando di pescato, vista la forte richiesta di queste specie e la non consapevolezza della stagionalità, si rischia di mettere a rischio la loro stessa esistenza, in prospettiva. Tutti i relatori vanno nella direzione di superare i vecchi preconcetti e di far conoscere la grande biodiversità del Mediterraneo, che è ricco di centinaia di specie ittiche commestibili e molto apprezzabili dal punto di vista gastronomico. Il mercato del pesce è in crescita e rappresenta una possibile risposta ai problemi alimentari che deriveranno dall’aumento della popolazione del pianeta. Quello che dobbiamo fare noi consumatori è conoscere le potenzialità del mare, avere comportamenti sostenibili e variare il nostro consumo, scoprendo nuovi modi di consumare questo alimento, possibilmente valorizzando i territori, le filiere corte e le buone pratiche.
«La consapevolezza sul mondo del pesce va aumentata attraverso una cultura diffusa, che parte dall’etica di chi vende il pesce, alla scuola» – dice Gallina, che vorrebbe approfondimenti programmati nelle scuole. Un’affermazione forte viene da Roberto Di Lernia, che avverte: «non mangiate pesce surgelato distribuito nella gdo. Queste grandi aziende svuotano il mare e producono un prodotto di bassa qualità, colonizzando mari lontani».