La vivacità imprenditoriale della regione Liguria? Potrebbe migliorare, anche se c’è chi fa peggio. È questo il dato che viene evidenziato dalla ricerca realizzata dall’Istituto Bruno Leoni, con la collaborazione di Fondazione San Paolo, Confcommercio, Fondazione Cariplo e altri partner istituzionali, che ha analizzato migliaia di dati conservati negli archivi storici delle Camere di commercio.
L’obiettivo della ricerca, coordinata dal professor Nicola Rossi, è stata quello di fornire dati su un elemento non sempre considerato nell’attuale dibattito economico, ovvero quello della dinamicità delle imprese, che fotografa nascita e morte dei soggetti produttivi. I dati, divisi per regioni, province e tipologie, forniscono elementi utili a comprendere le ragioni e le origini, del ritardo economico del nostro Paese, come pure i momenti di successo e di crescita.
In tutto il Paese emerge, dall’analisi degli ultimi dieci anni, un consolidato immobilismo: poche imprese nascono, e poche imprese muoiono. Un dato che non può essere considerato positivo, poiché le economie più sane, sono anche quelle più “vivaci”. Solo alcune città sembrano distinguersi: a Milano, per esempio, il dato è inverso: la media degli ultimi 10 anni con una tendenza particolarmente positiva a partire dal 2013 e a seguito dell’effetto Expo. Nel 2016 nascevano a Milano 6.4 nuove imprese, ogni 100 registrate, e ne cessavano 5.1.
A Genova nello stesso anno erano 6 su 100 le imprese a tramontare e 5.3 a nascere.
Se consideriamo l’intero territorio nazionale, i dati migliori si registrano a Brindisi, Firenze, Frosinone e Cagliari, tra le maglie nere Terni, in Umbria, con 10.2% imprese chiuse e poco più della metà di aperture (6%).
La situazione della Liguria
In Liguria, la media degli ultimi 10 anni è stata di 6.42 cessazioni, e 6.14 nuove aperture, ogni 100 imprese. Con una tendenza a una riduzione del turnover (somma dei tassi di natalità e mortalità nel periodo indicato) a diminuire.
Il grafico indica che i periodi “migliori” degli ultimi anni si sono verificati tra il 2010 e il 2012, con un picco di cessazioni nel 2013, e, da allora, una tendenza sempre più forte all’immobilismo (poche nascite e poche più morti).

Vediamo nel dettaglio come cambia la dinamicità delle imprese nei diversi settori, facendo riferimento alla dinamicità imprenditoriale in Liguria negli ultimi 10 anni e nel solo 2017:
I dati della Liguria evidenziano una situazione di relativo immobilismo. Con poche differenze tra le diverse province. La provincia di Genova è, in assoluto, quella con minor turnover lordo, ovvero con il dato più basso che somma tassi di natalità e mortalità nel periodo indicato. È invece La Spezia a registrare il valore più alto, questo significa che in quella provincia vi è stata una maggiore “dinamicità” nel tessuto economico e produttivo.
Questi dati regalano un’immagine non di declino, ma di sostanziale immobilismo. Le città più “dinamiche” risultano essere quelle che – in questi anni – hanno investito in trasporti (Firenze), turismo (Cagliari e Brindisi) commercio, eventi e divertimento (Frosinone).
A muovere l’economia Ligure potranno essere, soprattutto, le riforme infrastrutturali, la cui realizzazione è però ancora incerta, e i piani di intervento messi in atto nell’ultimo periodo dal Comune e, in particolare, dall’assessorato allo Sviluppo Economico. La strada è stata avviata: riduzione delle imposte alle imprese che si trasferiscono e investono le territorio e sostegno politico alla realizzazione delle infrastrutture.
Serve coraggio per invertire la tendenza: aprire i mercati, non ostacolare, ma anzi, incentivare l’arrivo di soggetti stranieri, ridurre la burocrazia e sostenere i segmenti strategici della regione. Solo in questo modo potremo, tra qualche anno, celebrare più nascite che cessazioni, e, in generale, maggiore dinamismo imprenditoriale.