È estate e con il caldo si ha voglia di cibi freschi e rinfrescanti. Per esempio, pesci marinati nell’aceto. L’aceto abbassa il Ph dei cibi inibendo lo sviluppo di microorganismi patogeni, per questo viene utilizzato nella conservazione. Qui non ci interessa la lunga conservazione in recipiente chiuso, per la quale in ogni caso non basta mettere l’aceto, ma la preparazione dei cibi con questo antico alleato del cuoco.
La sua componente fondamentale, l’acido acetico, aiuta la digestione, insaporisce i cibi e li cuoce senza bisogno di calore. Li sgrassa e li alleggerisce. L’aceto inoltre conserva caratteri e aromi che derivano dalla fermentazione alcolica delle uve d’origine (ci occupiamo di quello ottenuto dal vino, gli altri, derivati dalle mele, dal riso, dalla birra, ecc.. sono meno utilizzati dalle nostre parti), tanto che l’aceto di vino bianco si preferisce con pesce e verdure, quello di vino rosso per le carni rosse e la selvaggina.
La cucina ligure ha sempre fatto uso di entrambi, anche con cibi che ora tendiamo a trascurare. È il caso delle boghe, o bughe come si dice più spesso dalle nostre parti. La buga appartiene alla famiglia della sparidae, come i più nobili sarago e dentice: normalmente non supera i 20 cm e la si può trovare nelle pescherie in questi mesi, diciamo tra maggio e ottobre. Passa i mesi freddi sui fondali alti o sulle secche al largo, per questo in inverno è più rara ma anche in estate non è che sia frequentissima sui bancali, pur essendo onnipresente lungo tutte le coste italiane, specialmente se rocciose come le liguri. Il fatto è che la buga ha carni sode e saporite ma ricche di spine che richiedono da parte del cuoco o del consumatore una pazienza non più tanto comune. Inoltre si conserva poco e va consumata il prima possibile. Il risultato è che la usiamo di rado in casa e non la troviamo mai in ristoranti e trattorie. Un locale potrà essere anche popolare, finto popolare, finto povero, povero davvero, vera trattoria, ecc… ma difficilmente vi proporrà le “bughe a scabeccio”. Facciamocele noi. Costano poco, grazie all’aceto si conservano bene, sono buone e decisamente “estive”.
Si puliscono bene le bughe, il prima possibile, si infarinano e si friggono in olio. In questo caso va bene quello di semi. Salarle il giusto e disporle in una terrina. Intanto portate a bollore l’aceto (bianco) in cui avrete messo foglie di salvia e spicchi d’aglio (per mezzo litro d’aceto, necessario per otto etti – 1 kg di pesce, ci vogliono quattro-sei foglie di salvia e altrettanti spicchi d’aglio), fate insaporire qualche minuto e versate il liquido sulle bughe. Una versione più ricca di questa ricetta prevede che si friggano in padella aglio, cipolla, rosmarino e alloro da fare poi bollire nell’aceto. Anche con uvetta passita fatta rivenire in acqua. Il risultato sarà un piatto meno asprigno di quello con solo aceto, salvia e aglio, e più ricco di sfumature. Da notare che con cipolla, uvetta e vino restiamo a Genova ma guardiamo verso Venezia: le sardine in saor si preparano con questi ingredienti più pinoli tostati, zucchero oppure scorza di cedro candito. Una sinfonia di sapori.
Lasciate le bughe a marinare almeno un giorno. Dopo un giorno e mezzo-due giorni la loro polpa sarà ancora più soda, con una marinatura più lunga correrete il rischio di sentire soltanto il sapore dell’aceto.
Anche le acciughe e le sardine si possono marinare, più o meno allo stesso modo, in genere nell’aceto si mettono salvia e aglio, alloro e cipolla tritati, e due chiodi di garofano per un litro di liquido.
E pure il baccalà. Nell’entroterra, al confine con la Toscana si usa friggere i pezzi di baccalà infarinati e ricoprirli con una salsa di pomodoro insaporita con il soffritto usuale (cipolla, carote, sedano, aglio), abbondante rosmarino, aceto e peperoncino.
Per le verdure, come in tante altre parti d’Italia, esistono le classiche giardiniere. Una curiosità abbiamo trovato nel ricettario “di strettissimo magro” delle abbazie del Monte di Portofino (“Dita di Nettuno” di Maria Carla Beretta, Edizioni Tigullio-Bacherontius, 2004, pag. 94), pubblicato nel 1880: patate marinate. Le patate, sbucciate, tagliate a dadi e fritte in olio, si mettono in piatto fondo e si ricoprono con aceto caldo (mezzo bicchiere per 400 grammi di patate) in cui avrete fatto bollire un battuto di due spicchi d’aglio, un cucchiaio di origano e otto filetti di acciuga. Non si precisa se il piatto è pronto subito o va lasciato marinare. La ricetta si intitola “Patate marinate” e quindi dovrebbe valere la seconda ipotesi. Diversamente, entreremmo nel campo delle aggiadde, salse a base di aglio e aceto, che condiscono numerosi piatti di pesce e di carne (per esempio il fegato), e di cui tratteremo un’altra volta.
Placet experiri!