Ancora positivi i dati macroeconomici globali: la Fed di Dallas, nel suo ultimo aggiornamento sulle condizioni economiche globali, riporta che l’indice JP Morgan Global PMI ha continuato anche a gennaio a registrare una dinamica crescente e si trova ora in prossimità dei suoi massimi storici (la statistica è disponibile dal 2012).
Negli Stati Uniti, l’indicatore anticipatore ISM del comparto servizi è risultato pari a 59,9 ben oltre le attese degli analisti a 56,7 punti e la rilevazione mensile precedente a 56; si tratta di valori storicamente associati ad elevati livelli di crescita economica sia americana che mondiale.
In Eurozona, segnaliamo il +3,8% degli ordini di fabbrica tedeschi e la revisione al rialzo dell’indice anticipatore PMI composito ovvero manifatturiero e servizi insieme di gennaio a quota 58,8 dal precedente dato mensile a 58,6.
In Cina, robusti i dati di gennaio delle esportazioni (+36,9% vs.+9,8% atteso) e delle importazioni (+11,1% vs. +9,6% atteso), nonché il tasso di crescita annuo della base monetaria M2 (dall’8,2% all’8,6%).
In tale contesto di dati macroeconomici così ampiamente positivi oltre le attese in pressoché tutte le principali aree geografiche, non stupisce che la curva dei tassi d’interesse statunitensi abbia ripreso ad irripidirsi, con il differenziale /spread di rendimento tra le scadenze a 10 anni e quelle a 3 mesi ora a 0,71%, a conferma del calo delle probabilità che l’economia americana possa scivolare in recessione nei prossimi dodici mesi.
Sempre negli Stati Uniti sono proseguite le trimestrali societarie e sulle 342 società del principale indice azionario S&P500 che hanno riportato i propri risultati di bilancio, ben l’80,7% ha battuto le attese sul fronte degli utili (fonte Bloomberg).
I segnali di forza dell’economia globale hanno, però, anche spinto gli operatori ad aspettarsi una più rapida normalizzazione della politica monetaria a livello globale, provocando nuove massicce vendite (“sell-off”) a livello globale di obbligazioni a medio-lunga scadenza sia governative (da quelle statunitensi a quelle europee e, in quest’ultimo caso, soprattutto, “core Europe”) che societarie (soprattutto, “high investment grade”) a medio-lunga scadenza, con un inevitabile ulteriore rialzo dei rendimenti: quello del Treasury bond statunitense a 10 anni ha, così, raggiunto il 2,90%; quello del bund tedesco a 10 anni lo 0,80%, mentre quello del Btp decennale italiano è riuscito a non andare oltre il 2,05-2,06% (nonostante la crescente incertezza, accompagnata dai consueti toni sempre più accesi tipici delle campagne elettorali, sull’esito delle prossime elezioni politiche del 4/3). A livello di quotazioni, un po’ più resistenti i titoli governativi (sia statunitensi che europei) indicizzati all’inflazione.
L’ulteriore repentino aumenti dei tassi d’interesse a medio-lungo termine si è immediatamente trasmesso agli indici di volatilità implicita dei principali indici azionari, tra cui quella calcolata sul principale indice azionario statunitense, l’S&P500, che, dopo avere superato quota 40% nella pesante seduta di lunedì 5/2 (-4,60%), è arrivata, nell’intra-day, a superare persino quota 50% (valori che non si vedevano dalla crisi dei mercati azionari cinesi dell’agosto/settembre 2015); così, è stato lunedì nero per Wall Street, con ribassi medi ben superiori al 4% e la peggiore seduta dal 2011, a cui ha fatto seguito un altro pesante scivolone (nuovamente 4 punti percentuali in media) nella giornata di giovedì 8/2; due sedute con ribassi così pesanti (oltre il -4% ciascuna) nella stessa settimana (la peggiore degli ultimi due anni) non sono certamente passate inosservate agli Operatori e ai media: dal 26/1 il calo è stato -8% in media per le principali piazze azionarie internazionali (da quelle statunitensi a quelle europee, Londra, Zurigo e Milano comprese, fino a quelle giapponese e asiatiche) ed era dall’esito del referendum inglese sulla “Brexit” di fine giugno 2016 che non si registravano simili performances così negative.
Ad intensificare la velocità e il peso delle vendite, certamente, hanno contribuito anche gli algoritmi dei sempre più rapidi e sofisticati Sistemi di Trading ad Elevata Frequenza (“High Frequency Trading System”), che, dinanzi ad una così rapida ed improvvisa risalita degli indici di volatilità sui principali mercati azionari ed obbligazionari globali, hanno immediatamente reagito con irrefrenabili e dirompenti input di vendite in sequenza.
Da evidenziare anche il calo dei prezzi delle materie prime, in particolare, del greggio, con il contratto WTI statunitense e Brent del Mar del Nord scesi sotto la soglia, rispettivamente, dei 60 e 63 $/al barile; in lieve calo, il prezzo dell’oro, comunque, ben sopra i 1.300 $/oncia.
Sono, ovviamente, possibili rimbalzi o recuperi parziali dei corsi azionari a livello globale, ma non si possono escludere ulteriori scosse di assestamento settimane (almeno, con il perdurare degli indici di volatilità implicita così elevati sui mercati azionari) nell’arco delle prossime, in cui gli operatori cercheranno di meglio comprendere, anche sulla base dei dati economici di prossima uscita (sia dagli Stati Uniti che dall’Europa), i futuri orientamenti di politica monetaria delle banche centrali (prossima riunione Fed il 20-21 marzo; prossime due riunioni BCE l’8 marzo ed il 26 aprile).
Che cosa guardiamo questa settimana
Dagli Stati Uniti, sono attesi i dati di gennaio sulle vendite al dettaglio, sulla produzione industriale, sulla capacità e tasso di utilizzo degli impianti e l’indicatore preliminare sulla fiducia dei consumatori statunitensi della prima metà di febbraio (redatto dall’Università del Michigan); ma sarà soprattutto il dato sul tasso d’inflazione di gennaio, in uscita oggi mercoledì 14 a catalizzare l’attenzione degli analisti e dagli operatori sui mercati azionari, obbligazionari e valutari.
Sempre negli Stati Uniti, da seguire la presentazione del presidente Donald Trump sul budget federale per il 2019 (con un focus specifico su una spesa per il rilancio delle “ormai vetuste” infrastrutture americane da ben 1.500 miliardi di dollari da spendersi nell’arco di cinque anni).
Infine, dalle trimestrali societarie, attesi i risultati di Allianz, Credit Suisse, Credit Agricole e Nestlé.