Non sono più solo gli operai a scendere in piazza, a Genova si sta rischiando di perdere un tessuto di alte competenze impiegatizie e ingegneristiche delle pmi locali.
Sciopereranno mercoledì 31 dicembre i lavoratori di Eca Sindel, azienda con sede a Genova Sestri Ponente, specializzata in simulazione navale per addestramenti civili e militari. La Fiom Cgil è preoccupata perché si tratta della seconda volta in breve tempo in cui un’azienda preferisce non ricorrere agli ammortizzatori sociali a cui avrebbe diritto, preferendo il licenziamento: 14 persone su 25 (altri tre degli attuali 28 sono già dimissionari).
In difficoltà anche i lavoratori della Poseico, ex Ansaldo Componenti, che, sempre a Sestri Ponente, produce diodi conduttori e impianti di potenza soprattutto per il settore ferroviario e navale. Nove licenziamenti su 31 dipendenti (questa situazione, per stessa ammissione dei sindacalisti, è molto più difficile), per la chiusura di una linea produttiva. Nelle ultime ore è arrivata una disponibilità dell’azienda a un accordo sindacale per attivare incentivi all’esodo su base volontaria.
«I licenziamenti costano meno – sottolinea Bruno Manganaro, segretario generale della Fiom Cgil di Genova – oppure capita spesso che lavoratori con contratti “più cari” dal punto di vista dell’azienda, vengano sostituiti con lavoratori più precari, per esempio Ama Group ha sostituito gli apprendisti con stagisti».
La situazione delle piccole e medie imprese genovesi è tutt’altro che rosea, evidenzia Giuliano Rimassa, funzionario Fiom Cgil, abbiamo decine di casi simili: «La Eea, specializzata nell’automazione siderurgica e indirettamente legata a Ilva, è stata trasferita nel Basso Piemonte per questioni di riduzione dei costi sulle strutture, ma non è stato sufficiente, 61 lavoratori rischiano il posto. Le aziende del cosiddetto appalto Ansaldo hanno ridotto l’organico o l’hanno trasferito o hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. Il comparto del software, con Softeco Sismat, è in crisi: gli ammortizzatori sociali ora sono sospesi e per paura di perdere completamente il lavoro, il 30% dei dipendenti si è trasferito a Milano a condizioni peggiori. Fatica anche tutto il comparto della carpenteria leggera, ne risentirà la cantieristica».
«Proveremo per Ecasindel a difendere il posto di lavoro – dice Manganaro – non è accettabile che le imprese multinazionali facciano quello che vogliono, sollecitiamo anche la politica a farsi sentire».
Eca Sindel è nata negli anni Ottanta e – come ricorda il delegato sindacale Fiom Stefano Baracchi – è cresciuta sino agli anni Duemila. Acquistata dalla multinazionale francese Eca Group (group Gorgé), è arrivata fino a un massimo di 35 dipendenti. Negli ultimi due anni la crisi: una volta avviato il licenziamento individuale per tre dipendenti, l’intervento del sindacato ha consentito di attivare contratti di solidarietà per 12 mesi, «in modo da garantire le commesse in atto – spiega Baracchi, che aggiunge – siamo anche andati incontro all’azienda usufruendo delle ferie arretrate. Scaduti i 12 mesi la situazione sembrava migliorata, tanto che ci siamo accordati per otto mesi di ulteriore solidarietà in attesa delle nuove commesse che sarebbero arrivate, purtroppo alla scadenza degli otto mesi, la doccia fredda: licenziamento collettivo per 14 dipendenti».
La Fiom evidenzia anche che all’inizio della procedura, Eca Group aveva annunciato la volontà di ridurre l’organico da 35 a 25, gli ulteriori 14 licenziamenti giungono del tutto inaspettati. «Il rischio è di smantellare tutto – sostiene Baracchi – non crediamo a quello che ci hanno detto, la diminuzione del valore delle commesse, il 90% degli istituti nautici italiani studia sui nostri software».
Lo sciopero è un primo passo per provare a far cambiare idea all’azienda, avviando le procedure per la cassa integrazione straordinaria, in modo da dare il tempo ai lavoratori di ricollocarsi sul mercato, com’era accaduto per la vertenza Eaton Gitiesse.
«Il fattore comune di questi ultimi casi è che si tratta di multinazionali che hanno l’obiettivo di delocalizzare», dice Manganaro.