La parola territorio vuol dire porzione di terra o di terreno: quanto di più concreto si possa immaginare. Viene adoperata anche per indicare un’unità giurisdizionale o amministrativa. In questo caso perde un po’ della sua terragna concretezza ma resta comprensibile. Col tempo territorio ha assunto un significato sempre più generico, grazie a espressioni come architettura e territorio, cultura e territorio, eccetera. In bocca ai politici significa il loro elettorato e le loro clientele. Quando poi si parla di banche di territorio non si è più sicuri di nulla. Cosa vuol dire essere vicini a un territorio, di un territorio? Non basta avere delle filiali? In certi casi si può trattare di banche che si sobbarcano oneri di tipo politico, finanziano infrastrutture di dubbia utilità o foraggiano imprenditori amici degli amici, gonfiando la massa dei crediti deteriorati. Gli esempi non mancano, in varie località d’Italia.
Ma si può essere banca del territorio semplicemente restando fortemente radicati in un ambito territoriale di cui si conoscono bene le dinamiche e in cui si può tenere un rapporto diretto con i clienti, imprese o famiglie che siano. È il caso della Banca Passadore & C. che ieri sera al Carlo Felice di Genova ha promosso uno dei suoi “Incontri” annuali.
Gli “Incontri” nascono da una collaborazione della banca con il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova sotto forma di un accordo pluriennale dedicato alla memoria di Agostino Passadore. In occasione di questi eventi la banca invita relatori di primo piano del mondo finanziario e imprenditoriale a esporre il proprio pensiero su temi di attualità, riguardanti il mondo economico e finanziario. L’evento ha la durata di un giorno con cadenza annuale e si svolge con una lectio magistralis tenuta al mattino da un economista al Dipartimento di Economia e una conferenza al pomeriggio, privata e a invito.
Ieri pomeriggio il tema della conferenza era “Le eccellenza della creatività imprenditoriale italiana nel mondo”, a trattarne erano stati invitati Carlo Cottarelli, direttore esecutivo al Board del Fondo Monetario Internazionale e di ritorno a Milano dove si dedicherà al nuovo Osservatorio sul settore pubblico italiano, Giovanni Rana, presidente del Pastificio Rana, Marco Vitale, economista d’impresa, Ermenegildo Zegna, amministratore delegato della Ermenegildo Zegna. Moderava l’incontro Ferruccio De Bortoli.
E l’incontro è stato l’occasione anche per ripensare come la Passadore sia rimasta banca di territorio.
Fondata a Genova nel 1888 da Luigi Passadore, la banca si inserisce fin da subito nel contesto imprenditoriale cittadino a supporto dei fiorenti traffici marittimi e portuali dell’epoca. È il periodo in cui le rimesse dei numerosissimi emigrati italiani nelle due Americhe costituiscono una voce di rilevo nell’economia nazionale. Passano gli anni, la banca cresce, esce indenne dalla crisi del ’29, supera le traversie belliche e nel boom economico del secondo dopoguerra, stringe una alleanza con due grandi gruppi finanziari e assicurativi. L’alleanza garantisce solidità patrimoniale alla banca genovese ma più tardi costringerà la famiglia Passadore a scelte drastiche.
Agli inizi degli anni 80 i due soci, Toro Assicurazioni e Centrale Finanziaria, fanno parte della galassia del Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi. Il banchiere, destinato a una fine tragica e misteriosa nel giugno 1982, decide di mettere le quote della Passadore in vendita. Non possiamo sapere che fine avrebbe fatto la banca genovese, avrebbe potuto finire coinvolta nelle traversie di Calvi o effettivamente essere venduta ma a questo punto interviene Agostino Passadore, nipote del fondatore. Entrato nella banca di famiglia nel 1949, nel 1980 Agostino è diventato direttore generale. E ha le idee chiare: la Passadore non sarà assorbita da un gruppo, non correrà avventure e resterà fedele alla sua mission: essere banca di territorio.
E nel 1981 Agostino si fa regista di una operazione che consente la trasformazione dell’azionariato della banca: riesce a ricollocare le azioni detenute dal socio presso un folto gruppo di nuovi azionisti, circa 200: piccole banche private e imprenditori e famiglie della borghesia ligure e piemontese. Questo modello societario fondato su di una proprietà azionaria frazionata ma unita che affianca le quote detenute dalla famiglia Passadore (circa un terzo del capitale azionario) consentirà di mantenere la piena autonomia e l’indipendenza, anche operativa, della Banca.
A partire dal 1988, in seguito alla liberalizzazione degli sportelli bancari, la Passadore avvia un piano di espansione “mirato”, graduale e che progressivamente la porta ad essere presente in più regioni italiane; il processo di espansione viene governato in modo tale da non pregiudicare in alcun modo le caratteristiche vincenti e i peculiari punti di forza della Banca che in molti casi risultano strettamente correlati a una struttura snella, di dimensioni non grandi e fortemente radicata all’economia locale.
Attualmente la banca è presente in sette regioni con una rete di 23 sportelli (Genova con la Sede e 7 Agenzie, Milano, Roma, Brescia, Firenze, Parma, Torino, Aosta, Alessandria, Imperia, La Spezia, Novi Ligure, Albenga, Bordighera, Chiavari e Alba).
A guidarla oggi sono due figli di Agostino (mancato nel 2011, a 85 anni), Augusto, presidente e Francesco, amministratore delegato, con Carlo Acutis vicepresidente ed Edoardo Fantino direttore generale.
Il bilancio dell’esercizio 2016 registra raccolta diretta 2.445 milioni (+12,3% rispetto all’anno precedente), impieghi 1.627 milioni (+8,0%), depositi titoli 4.400 milioni (+0,2%), utile netto 15,1 milioni (+4,3%).