Nello scenario di base riportato sul suo “World Economic Outlook” ossia l’aggiornamento trimestrale delle previsioni di crescita economica globale, il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil a +3,6% per il 2017 e a +3,8% nel 2018 (la più elevata dal 2011), grazie alla ripresa del commercio internazionale, degli investimenti e dei consumi, in modo particolare, in Eurozona, Giappone, Asia emergente ed Est Europa.
Più in dettaglio, il Fmi prevede per gli Stati Uniti, una crescita del Pil del 2,2% nel 2017 e del 2,3% nel 2018, mentre per il Giappone, una crescita dell’1,5% nel 2017 e dello 0,7% nel 2018. Per ciò che riguarda la Cina, una crescita del Pil del 6,8% nel 2017 e del 6,5% nel 2018. In Eurozona, grazie alla ripresa sia delle esportazioni ovvero della domanda globale sia della domanda interna (favorita dalle politiche monetarie ultra-espansive non convenzionali della Banca Centrale Europea e da un minore rischio politico), la crescita stimata è del 2,1% nel 2017 e dell’1,9% nel 2018 (la previsione risale a prima delle tensioni politiche in Catalogna). Per l’Italia, una crescita del Pil dell’1,5% nel 2017 e dell’1,1% nel 2018, di fatto, però, entrambe ben distanti dalla media Eurozona sia per il 2017 che per il 2018, come, del resto, accaduto nel 2016, quando il +0,9% di PIL italiano si doveva confrontare con l’1,8% medio (il doppio!) dell’intera Eurozona.
Prendendo poi atto dei tassi d’inflazione per la maggior parte delle economie avanzate ancora al di sotto dei target delle banche centrali, il Fondo monetario internazionale ha ribadito il proprio appoggio alle politiche monetarie espansive della Banca Centrale Europea e della Banca Centrale Giapponese, ma anche esortato i governi dei singoli Paesi membri dell’Eurozona ad intraprendere ulteriori progressi sul fronte dell’incremento della produttività (attraverso ulteriori riforme strutturali), della riduzione del peso del debito pubblico (attraverso una maggiore sostenibilità delle politiche di bilancio) e del miglioramento della qualità del credito, (attraverso un’ulteriore riduzione della quota di crediti deteriorati sul credito complessivo, pari al 5,7% alla fine del I trimestre 2017, ma con ben 6 Paesi membri dell’Unione, tra cui l’Italia, con valori superiori al 10% e un peso del credito deteriorato italiano pari al 30% circa del credito deteriorato complessivo dell’Eurozona).
Sul fronte della banca centrale statunitense, le minute dell’ultima riunione del 20 settembre hanno confermato una Fed ancora paziente, con la maggioranza dei suoi membri favorevole ad un rialzo di 25 punti base dei tassi di riferimento entro fine anno. Pur confidando su una crescita economica moderata nel medio periodo, favorita da una ripresa dei consumi e degli investimenti, la Fed, evidenzia, sul fronte dell’inflazione, l’assenza di pressioni generalizzate sui salari, nonostante il continuo rafforzamento nelle condizioni del mercato del lavoro. Ciò ha indotto i partecipanti a discutere su quale possa essere nel medio termine il livello ottimale del tasso di riferimento in un contesto inflazionistico persistentemente dimesso, con potenziali ricadute negative sulla stessa credibilità della Banca centrale nel riuscire effettivamente a conseguire il suo obiettivo di medio termine di crescita sostenibile e duratura dei prezzi al consumo pari al 2%.
Il quadro di crescita moderata e bassa inflazione tracciato dalla Fed ha, per altro, trovato conferme anche nei dati usciti la scorsa settimana: non particolarmente brillanti i prezzi al consumo, cresciuti sì del 2,2% annuo, ma a un ritmo meno vigoroso di quanto atteso dagli analisti e con l’inflazione di fondo (“core”) invariata all’1,7%; più convincenti, invece, le vendite al dettaglio, salite a settembre dell’1,6% annuo, e la prima stima della fiducia dei consumatori redatto dall’Università del Michigan ai massimi dal gennaio 2004.
In Eurozona, balzo del 3,8% della produzione industriale di settembre.
In Cina, sempre su settembre, l’ulteriore rialzo delle riserve valutarie da 3.091 a 3.108 miliardi di dollari, grazie all’accelerazione delle esportazioni (a +8,1% da +5,1% di agosto) e delle importazioni (a +18,7% dal +13,5% di agosto); inatteso rialzo anche dell’indicatore di tendenza M2 (al 9,2% annuo dall’8,9% registrato in agosto). Ciò nonostante, l’inflazione resta bassa e addirittura rallenta a settembre all’1,6% dall’1,8% di agosto.
Cosa guardiamo questa settimana
Negli Stati Uniti, la pubblicazione del Beige Book ovvero l’analisi mensile sullo stato dell’attività economica nei principali distretti nazionali e la prosecuzione della stagione, apertasi la scorsa settimana, delle trimestrali societarie sugli utili e fatturati: le attese degli analisti gravitano intorno a un 4% di crescita degli utili del terzo trimestre, un livello assolutamente gestibile che non dovrebbe essere sottoposto a particolari delusioni e che solo sei mesi fa si attestava intorno al 9%. Al momento, ha riportato meno del 10% delle società del mercato americano (soprattutto, banche e istituzioni finanziarie), con un agevole superamento delle attese.
In Europa, il sondaggio ZEW sulle aspettative di crescita economica per Germania ed Eurozona.
In Cina, in base al consensus mediano degli analisti, il Pil del terzo trimestre dovrebbe mettere a segno un rallentamento dal 6,9% al 6,8%, ma con le vendite al dettaglio a registrare una crescita sostenuta in termini assoluti, ma in rallentamento rispetto al mese precedente (dal 10,4% al 10,3%), e un rallentamento atteso anche per gli attivi fissi (consensus 7,7% da precedente 7,8%).