Tanti, troppi gli ostacoli per chi vuol fare impresa in Italia. Tredici, per l’esattezza. Li ha messi in luce l’Ufficio studi di Confartigianato: tredici zavorre che appesantiscono i bilanci, l’operatività e gli investimenti della piccola impresa italiana.
Il primo dato è forse il più significativo: 24,3 miliardi di euro, e corrisponde alle tasse pagate in più in Italia rispetto alla media europea: nel 2017 il carico fiscale arriva al 43% del Pil. Parlando di efficienza di spesa dei Comuni, per le piccole imprese il prelievo fiscale maggiore si registra proprio nei Comuni più inefficienti: tra Imu, Tasi e addizionale Irpef un piccolo imprenditore sborsa ben 4.373 euro l’anno. Sul fronte dei rifiuti le cose non vanno molto meglio: negli ultimi cinque anni le tariffe per la raccolta sono aumentate del 18,9%, un dato senza uguali in Europa, a fronte, per giunta, di servizi non sempre efficienti. Anche l’energia elettrica è tra le più alte di tutto il continente: una micro e piccola impresa italiana arriva a spendere quasi 2.300 euro in più rispetto a una qualsiasi controparte europea.
A ciò si aggiunge il debito commerciale che gli enti pubblici hanno accumulato verso le imprese fornitrici di beni e servizi: 64 miliardi. E la PA fa attendere in media 95 giorni (rispetto ai 46 giorni della media Ue) per saldare le fatture agli imprenditori. Il grado di digitalizzazione dell’Italia è tale da collocarla al 25esimo posto nella classifica Ue: rimanendo in tema “pubblico”, i Comuni italiani gestiscono online soltanto il 3,1% dei servizi richiesti dai cittadini e dagli imprenditori. E di questi, solo l’11,7% ha inviato online alla PA i moduli del 2016 (contro il 28% dell’Ue). Non c’è da stupirsi quindi se solo il 23% degli italiani si dichiara soddisfatto della qualità dei servizi pubblici, contro la media europea del 52%: altro dato che colloca l’Italia in fondo alla classifica. L’assenteismo da malattia nel pubblico impiego è decisamente più alto rispetto a quello registrato nel privato: tra 2012 e 2015 la dinamica è del +14,9% nel primo caso contro il +2,7% nel secondo.
All’elenco si aggiungono gli squilibri di spesa e welfare: se si pensa che per ogni euro investito per giovani e famiglie, l’Italia ne spende 10 per pensioni e sanità degli over 65, c’è ancora molto da recuperare per il futuro delle nuove generazioni.
I dati sulla contraffazione e il sommerso dicono che nel 2015 il tasso di irregolarità nell’occupazione era del 15,7%, mentre la quota di artigianato manifatturiero esposta alla contraffazione nel 2016 è del 16,9%. E i tempi della giustizia sono ancora troppo lunghi e costosi per cittadini e imprenditori: in Italia un procedimento civile dura circa 560 giorni in più rispetto alla media Ue.
Infine, uno dei tasti più dolenti per l’artigianato: il credito, letteralmente crollato negli ultimi cinque anni, soprattutto verso le piccole imprese del made in Italy che hanno perso ben 13,6 miliardi di euro di finanziamenti dal sistema bancario, di cui 2,7 nell’ultimo anno.
«L’impresa italiana, in particolare quella di piccole e piccolissime dimensioni, è penalizzata in ogni aspetto che riguarda la sua attività: dalla burocrazia lenta e macchinosa all’enorme peso delle tasse, dal credito alla giustizia, dall’inefficienza della pubblica amministrazione all’evoluzione digitale, fino alla concorrenza sleale – afferma Giancarlo Grasso, presidente di Confartigianato Liguria – A giudicare da questo panorama, è quasi un miracolo che le nostre imprese riescano ad andare avanti nonostante le pesanti zavorre che mettono continuamente il freno al loro sviluppo e competitività. Eppure, se da un lato l’Italia dei “record negativi” rallenta la crescita, dall’altro c’è l’Italia dell’artigianato e delle piccole imprese che corre per agganciare la ripresa. Ma solo viaggiando nella stessa direzione si possono stabilire tutte le condizioni favorevoli per fare impresa e per assottigliare quel gap che continua a distanziarci dalle medie europee».