Il 70% dei detenuti in Italia torna nuovamente in carcere una volta uscito. La percentuale scende al 20% nel caso il detenuto sia stato coinvolto in un’attività lavorativa durante la pena.
Solo questo dato dovrebbe suggerire qualcosa sia allo Stato sia a chi gestisce le case circondariali. Invece parte dalle associazioni e da chi gestisce i progetti singoli, un tentativo di ascoltare le esperienze, condividerle, «per capire come possiamo essere imprenditoriali e a quanti finanziamenti esterni possiamo accedere», dice Paolo Trucco, coordinatore del progetto Press a Marassi per la Bottega solidale.
Trucco è uno dei relatori del convegno “Lavoro in carcere: che impresa! Esperienze, confronto e idee di sviluppo“, organizzato dalla Rete Carcere coordinata dal Celivo, Centro di servizi al volontariato e in corso per tutta la giornata di oggi, 16 giugno, alla Casa della Giovane di piazza Santa Sabina. Ospiti anche responsabili di progetti non liguri, proprio per cominciare nell’ottica della massima condivisione: Gian Luca Boggia di Extraliberi (Torino, serigrafia e stampa in digitale), Liri Longo di Rio Terà dei Pensieri (Venezia, riciclo pvc, cosmetica, pulizia aree urbane, agricoltura biologica, serigrafia), Nicola Boscoletti della Pasticceria Giotto (Padova, pasticceria artigianale), Giusy Biaggi di I buoni di Ca’ del Ferro (Cremona, confezionamento prodotti alimentari curati dalla cooperativa Nazareth).
Presenti anche i genovesi: «Il progetto Press – racconta Trucco – esiste dal 2008. Si tratta di un laboratorio in cui lavorano 5 persone della quinta sezione ad alta sicurezza, a tempo determinato, part-time, che sviluppa una linea di prodotto basato su una filiera etica e sociale. Le magliette arrivano da un produttore ecosociale in Bangladesh, mentre qui i detenuti le completano con stampa serigrafica, transfer e altre tecniche».
La mole di lavoro non consente di allargare il numero di persone coinvolte. «Eppure i numeri dimostrano quanto sia importante proporre attività qualificanti – sottolinea Trucco – che siano utili anche fuori dal carcere. Difficilmente chi fa il cuoco nella mensa, le pulizie o il barbiere durante la detenzione, può spendersi questa qualifica una volta uscito. Le attività proposte danno opportunità alle persone di scontare la pena in maniera costruttiva, non oziando tutto il giorno». Il progetto Press è gestito come un’impresa a tutti gli effetti: «Non c’è nessuno che copre gli eventuali passivi a fine anno e periodicamente accediamo a finanziamenti per l’acquisto dei macchinari, come ogni altra azienda».
La rete carcere del Celivo è attiva dal 2010 ed è composta da un gruppo di associazioni che si occupa in vari modi di giustizia penale e riparativa. Si riunisce una volta al mese nella sede del Centro ed è aperta a tutti gli enti che desiderano dare un contributo.
L’avvio di un progetto in carcere dipende molto anche dalla disponibilità della direzione, che fortunatamente a Marassi, a quanto riferisce Trucco, è stata particolarmente ricettiva, anche dopo l’avvicendamento tra Salvatore Mazzeo e Anna Maria Milano. «Trovare gli spazi, ottenere la disponibilità del personale non è sempre facile», puntualizza Trucco.
Etta Rapallo presidente dell’associazione Sc’Art e Manuela Musso, coordinatrice del progetto Creazioni al fresco, annunciano fiere che domani Coop Liguria (per la terza volta nella storia del progetto) consegnerà all’assemblea dei soci 850 borse fatte dalle detenute coinvolte da Creazioni al fresco: «Abbiamo due laboratori – dice Rapallo – uno nel carcere di Pontedecimo e l’altro in un circolo Arci a Bolzaneto, in sostanza realizziamo borse, complementi d’arredo e accessori di moda, con striscioni pubblicitari dismessi e tele di ombrelli rotti. Al momento ci lavorano 7 persone, 4 in borsa lavoro e 3 part-time, abbiamo anche una detenuta in regime di semilibertà». Creazioni al fresco è sostenuto da una rete di imprese e di realtà profit e non profit sia con commesse di lavoro sia con donazioni e contributi. «Lavorare in carcere – sottolinea Musso – aiuta a vedere le cose con una prospettiva diversa e a ripensare il futuro, ad avere un approccio con la normalità, con una vita che non ha contatti con l’esperienza da cui le detenute provenivano».
In Liguria ci sono altre esperienze che sono state raccontate nella giornata di confronto: a Pontedecimo c’è Grafiche KC, un laboratorio di stampa e legatoria, a Chiavari la Cooperativa sociale Nabot si occupa di trasporti, sgomberi, raccolta indumenti e pulizie.
Anche l’associazione Sc’Art denuncia la mancanza di un coordinamento nazionale: «C’è stata l’esperienza del Progetto Sigillo – ricorda Rapallo, la prima agenzia nazionale di coordinamento dell’imprenditorialità delle donne detenute, sostenuto dal ministero della Giustizia, che si occupava di certificare con un marchio la qualità e l’eticità dei prodotti realizzati all’interno delle sezioni femminili di alcuni dei più affollati penitenziari italiani».
Sigillo era gestito da una vera e propria agenzia dedicata, che ne curava le strategie di prodotto, comunicazione e posizionamento sul mercato, come un brand a tutti gli effetti, ma è stato sospeso, il sito è però ancora attivo e l’ultimo aggiornamento risale al 2015.
Il sovraffollamento è uno degli altri grossi problemi delle carceri italiane, Cassa depositi e prestiti avrebbe anche un piano carceri con investitori pronti a fare la loro parte (lo ha dichiarato proprio a BizJournal Liguria il direttore Fabio Gallia a Genova qui), ma se dalla politica non arriva l’input tutto è destinato a restare immobile.