Al suo debutto in politica Silvio Berlusconi aveva presentato Forza Italia come un partito liberale di massa. Sono passati più di venti anni, e oggi FI non è molto di massa e non sembra nemmeno liberale. Forse liberale non è stato mai, se non nella mente di qualche illuso come Alfredo Biondi, Antonio Martino, Giuliano Urbani ma, diversamente dal passato, non fa neppure finta di esserlo.
L’ultimo colpo di piccone alla facciata liberale del partito di Berlusconi l’ha dato nei giorni scorsi il governatore della Liguria Giovanni Toti.
È successo questo. A fine aprile è tornato il tormentone Alitalia: la compagnia, si è saputo, non può più tirare avanti con i suoi mezzi. Urge un intervento dello Stato. Per incoraggiarci, il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda a SkyTg24 ha precisato che Alitalia ha già inghiottito 7,5 miliardi di soldi pubblici. Una cifra mostruosa, se si pensa che il Terzo Valico dovrebbe costare 6,2 miliardi e per il ponte sullo stretto di Messina si era parlato di 8,5 miliardi. C’è chi ha espresso dubbi sull’utilità di queste opere, che comunque lascerebbero una linea feroviaria, un ponte. Alitalia, nulla finora ci ha lasciato, se non la soddisfazione di avere una compagnia di bandiera.
Secondo Toti avere una compagnia di bandiera sarebbe importante: «Ritengo – ha detto il governatore – che la settima potenza industriale non possa fare a meno di una propria compagnia che garantisca i collegamenti con i mercati esteri e flussi turistici verso il nostro Paese. C’è bisogno di un intervento deciso del governo». Non si vede perché. Chi viaggia desidera disporre di servizi buoni a prezzi contenuti, e della nazionalità del gestore se ne infischia. Quanto alla necessità di garantire collegamenti e flussi turistici, perché non possono farlo delle compagnie straniere? Temiamo che vogliano farci dei dispetti? Se i collegamenti lasciati scoperti da una Alitalia finalmente lasciata fallire fossero redditizi, sarebbero ben presto coperti da altre compagnie, come in genere accade e come dimostra, per esempio, il caso Malev in Ungheria. Nel momento in cui viene a mancare un operatore principale, Ryanair e le altre low cost riescono di solito a sostituire molto velocemente le rotte abbandonate. Dopo il fallimento di Malev in Ungheria, all’aeroporto di Budapest il numero di passeggeri è cresciuto del 28% rispetto a prima della crisi.
Se alcune tratte ora servite da Alitalia risultassero strategiche per lo sviluppo turistico di un territorio e non fossero attrattive, si potrebbe al massimo incentivare il servizio, senza bisogno di mantenere un intero carrozzone.
Sul caso Alitalia l‘Istituto Bruno Leoni ha prodotto un “focus” di Andrea Giuricin che riportiamo. Giuricin è fellow dell’IBL.
Occuparsi di Alitalia appassiona molto i leader politici italiani. Evidentemente non si è ancora capito che si tratta di una impresa privata, che opera in un mercato di attori privati.
I primi cinque player europei sono tutti quotati in Borsa, sono imprese capitalistiche “normali” e si mantengono tali grazie a un mix di scelte. Ryanair, primo vettore per numero di passeggeri trasportati in Europa, è stata in grado di ridurre i suoi costi a circa 35 euro per 1000 km volati da un singolo posto, mentre Easyjet, che pure ha costi superiori, ha individuato una nicchia di mercato più “ricca”, nel segmento low cost, che le permette di fare profitti.
I tre grandi gruppi tradizionali (Lufthansa, AirFrance/KLM, BritishAirways/Iberia) sono cresciuti tramite acquisizioni nell’ultimo decennio e sono ormai dei colossi del cielo per numero di passeggeri trasportati. Alitalia e i suoi commissari dovranno dunque confrontarsi con un panorama alquanto complesso e con una situazione della compagnia sempre più complicata. Il mercato di riferimento di Alitalia è quello nazionale e anche il Ministro Calenda ha giustificato la concessione di un “prestito-ponte” del valore di 600 milioni di euro all’impresa proprio con la necessità di tutelare rotte che altrimenti, in assenza di Alitalia, non verrebbero effettuate.
Non si può dimenticare che il mercato italiano, nonostante la crisi Alitalia, è quasi triplicato in due decenni, passando da 53 a 134 milioni di passeggeri annui: grazie alla liberalizzazione.
Il mercato italiano è infatti cresciuto grazie all’ingresso delle compagnie low cost, che hanno democratizzato il trasporto aereo e che ormai trasportano il 49,5 per cento dei passeggeri.
Il primo vettore in Italia oggi è Ryanair con il 24,3 per cento della quota di mercato, ben sette punti sopra ad Alitalia. Nel corso dell’ultimo decennio, la compagnia italiana è passata
dal 30 per cento al 17 per cento del mercato. In terza e quarta posizione ci sono altri due operatori low cost, Easyjet e Vueling, che hanno investito nel nostro paese sviluppando due basi importanti, la prima su Milano Malpensa (Easyjet oggi è il primo vettore sullo scalo varesino) e la seconda su Roma Fiumicino.
Proprio l’entrata in scena delle compagnie low cost nell’estate del 2015 ha fatto detonare la crisi di Alitalia. Sono in pochi a ricordarselo, ma Alitalia all’epoca non riuscì a convincere Aeroporti di Roma di avere un progetto di largo respiro. La proprietà decise, allora, giustamente, di cercare nuove possibilità di sviluppo. Per tale ragione, Alitalia ha visto il proprio feederaggio distrutto dalle compagnie low cost, proprio in un periodo nel quale i prezzi medi dei biglietti sono iniziati a scendere.
… Nel mercato domestico… Alitalia ha circa 12 milioni di passeggeri e una posizione dominante derivante dagli slot, specialmente su Milano Linate.
Gli slot si ottengono per continuità, con i cosiddetti i grandfathers’ rights. In pratica, una compagnia li mantiene se nella stagione precedente li utilizza. Proprio per questa ragione, il valore economico degli slot di Alitalia è praticamente pari a zero, perché questi non possono essere venduti (solo a Londra esiste un grey market, ma Alitalia i più preziosi li ha già venduti).
Un esempio è Linate – Lamezia Terme, che è coperta solo da Alitalia. Easyjet è probabile voglia entrarvi, ma non ci sono gli “spazi”. Tuttavia sia da Malpensa che da Orio al Serio Ryanair e Easyjet coprono questo vuoto.
Sicuramente esistono casi nei quali non sarà facile sostituire Alitalia nel breve periodo ma dall’esperienza dei fallimenti di altre compagnie è possibile immaginare che la sostituzione sia possibile in molti casi. Infatti, come dimostrano anche il caso Windjet in Sicilia o Malev in Ungheria, nel momento in cui viene a mancare un operatore principale, Ryanair e le altre low cost riescono di solito a sostituire molto velocemente le rotte abbandonate.
Dal fallimento di Malev in Ungheria, l’aeroporto di Budapest ha visto crescere del 28 per cento il numero di passeggeri, rispetto all’anno pre-crisi. È chiaro che le dimensioni di Alitalia sono differenti, ma Roma è un mercato molto più attrattivo, come dimostrano le già numerose connessioni effettuate dai vettori cinesi su Fiumicino. Qualcosa di non troppo diverso è avvenuto anche a Catania.
È bene ricordare che una compagnia aerea può spostare liberamente i suoi aerei all’interno dell’UE (caso Malev e Windjet). Proprio per questo, il vero mercato di riferimento (il campo di gioco in cui vengono fatte le scelte strategiche) è quello europeo.
Spostare di base un aereo è molto semplice e immediato e dunque se esiste domanda una compagnia aerea tenderà a coprirla in maniera più veloce possibile. Perché Ryanair, con dei costi che sono la metà di quelli di Alitalia, non dovrebbe entrare su queste rotte, se profittevoli? Solamente se queste rotte sono ora in piedi non per motivi economici, Ryanair o altre low cost quali Volotea potrebbero non riuscire a mantenere in piedi economicamente quei voli.
Se si ritenesse che un territorio svantaggiato economicamente abbia bisogno di un collegamento, è possibile fare un onere di pubblico servizio (OPS) con una gara trasparente per vedere chi opererà sulla rotta “svantaggiata”.
Paradossalmente il ministro Calenda rischia indirettamente di ammettere che ci sono delle rotte di Alitalia inefficienti che rimangono in piedi per obiettivi diversi da quelli di mercato.
Proprio per tale ragione, dare 600 milioni di euro di aiuti pubblici ad Alitalia sarà un incentivo ai commissari per non chiudere queste rotte.
Bisogna dire chiaramente che questi soldi rischiano di diventare un finanziamento a fondo perduto, poiché la situazione di Alitalia è tragica. Le stime indicano un margine lordo negativo di circa 18 punti percentuali, il peggiore di tutto il settore.
Il margine è andato peggiorando anche rispetto al 2015, quando già la compagnia perse 408 milioni di euro. Il commissario ha di fronte a sé un lavoro complicatissimo. Investirci soldi pubblici (a tassi di mercato per evitare di ricadere negli aiuti di Stato) è un grande azzardo. Anche perché non è la prima volta che il contribuente è chiamato a finanziare Alitalia e, sin qui, non è stato un grande successo.