Sarà un caso, ma dal secondo dopoguerra fino al termine del boom economico – il periodo d’oro e mai più ripetuto dell’ economia genovese – ogni rilancio di Genova è sempre arrivato da nuove opere infrastrutturali, da strade che aprissero nuove vie d’ ingresso ed uscita della città. O che ne migliorassero la mobilità interna.
L’ ultima grande opera del tipo è stata la “Sopraelevata”.
Un’ opera sostanzialmente rapidissima, per i tempi di realizzazione italiani, un investimento economico importante per l’epoca, ma soprattutto una costruzione utile per tutti e che ha sconvolto l’immagine della città. Le demolizioni eseguite nel 1963-65 per creare spazio al serpente che unisce la Foce a Sampierdarena interessarono 300 mila metri cubi di edifici, Per far fronte alle strutture portanti furono necessari sbancamenti per 78mila metri cubi. Per terminare la Sopraelevata servirono 15 mila tonnellate di lamiere d’ acciaio e 73mila di calcestruzzo. Lo sviluppo della strada fu creato sugli attuali 6.8 chilometri, affiancati già da allora da 18 chilometri di guardrail, quasi 10 chilometri di parapetti.
Un’ opera del genere richiese un tempo invero breve, due anni, nulla, visto che tra l’ altro si svolse nella carne viva di una Genova sicuramente più attiva e popolata che mai, visto che gli abitanti – mediamente molto più giovani ed occupati di oggi – erano circa 200 mila di più.
Gli operai e i tecnici impegnati nello svolgimento del lavoro toccarono le 2mila unità in via diretta, oltre alle migliaia che produssero i materiali necessarie l’ indotto. I costi? Circa 750 milioni di lire del 1964, poco più di 16,5 milioni di euro attualizzati a oggi. Per certo la sopraelevata non era bella allora, come non è oggi, né uno spettacolo architettonico. Ma ad essa ci si è abituati in fretta, in considerazione dell’ innegabile utilità che aveva ed ha. Era un’ altra Genova.
E oggi? Dopo decenni di studi, rinvii, inizi, stop e ripartente, alle spalle di Genova ci sono due grandi opere di fatto o teoricamente in corso. Stradali e ferroviarie. La Gronda e il Terzo Valico. Due storie. Lunghe e tormentate. Ricordare il primo progetto della Gronda fa tornare tutti più giovani. Sui tavoli di ingegneri e progettisti, era il 1984, c’era il primo disegno per collegare l’ ancora erigendo porto di Voltri con Rivarolo, mediante una bretella autostradale riservata al traffico pesante. Il progetto venne contestato dagli abitanti delle zone che dovevano essere attraversate dal raccordo e dalle associazioni ambientaliste, che ricorsero al tribunale. Sentenze, annullamenti, Tar, Consiglio di Stato: alla fine la società Autostrade decise di cercare ipotesi alternative, magari più lunghe, ma gradite a tutti. Quasi trent’anni e ancora niente. Nessuna decisione da parte di nessuno. I progetti e gli itinerari oggi “a catalogo” sono diversi. Gli investimenti restano importanti. L’ impatto ambientale? Variabile. L’idea più gradita? A oggi la cosiddetta Gronda Bassa: progetto proposto dall’Anas che ha trovato favorevole la Regione Liguria e prevede la costruzione di un tunnel sotto il torrente Polcevera, con un costo complessivo di 2.150 milioni di euro, 450 milioni dei quali per scavare ed attrezzare il tunnel. Sugli altri progetti (Gronda Alta, Gronda Ampia e relative modifiche, con cifre che variano dai 1,7 ai 2,9 miliardi di euro) ancora si discute. Forse ormai sul nulla.
A mettere tutti d’ accordo penseranno altri siti italiani che con più umiltà cercano di attrarre, con identico sacrificio, questi denari.
In Europa c’ è meno spocchia che da noi. In Olanda, per esempio, in dieci anni si è progettato, costruito e messo in opera, e poi rivisto e rinnovato in corsa, il Randstad, un’ area di sviluppo comune, con oltre 7 milioni di abitanti, adagiata tra Amsterdam, Rotterdam, Utrecht. Si è partiti dalle infrastrutture per mettere a fattor comune produzione, sviluppo e ricchezza. Niente di semplice, chiaro, anche lì la gente difende il campanile e guarda al proprio particolare e ai vantaggi. personali. Eppure alla fine si è deciso di porre in opera e sfruttare pienamente, senza piagnistei da orto, nuove strutture ed infrastrutture, soprattutto pubbliche. Per far “parlare” Rotterdam e Amsterdam si sono costruiti collegamenti tra Rotterdam, il maggior porto del Paese – e d’ Europa – con Amsterdam Schipol, uno dei principali aeroporti del mondo. Evitando sprechi e duplicazioni. Un esempio di praticità per il benessere generale, senza egoismi.