Nel convegno “Il sapore del lavoro, l’artigianato alimentare ligure verso Expo 2015” (Camera di Commercio di Genova, 24 settembre), Flai-Cgil di Genova (il sindacato dell’agroalimentare) ha lanciato uno slogan – sostanzialmente condiviso da Confartigianato, Fepag, imprenditori – secondo cui la qualità porta competitività su tutti i mercati e in particolare quelli internazionali, ma porta anche aumento della produzione e aumento dell’occupazione.
Un concetto che riguarda tutti i comparti, ma in particolare quello alimentare all’interno del quale molto spesso la qualità si fonde con la tipicità e la riscoperta delle culture tradizionali.
Anche i prodotti alimentari di qualità di Genova e della Liguria guardano a un appuntamento considerato ineludibile: Expo 2015, esposizione universale che punta sul tema: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Dal 1 maggio al 31 ottobre 2015, 184 giorni di evento, oltre 130 partecipanti, un sito espositivo che si sviluppa su una superficie di un milione di metri quadri, 20 milioni di visitatori previsti, 500 aziende italiane che porteranno il made in Italy in una vetrina internazionale, globale.
Perché quest’appuntamento è importante? Perché nonostante le difficoltà l’alimentare italiano conferma di essere uno dei settori chiave per l’economia italiana con grandi capacità, non solo di esportare prodotti di qualità nel segno del made in Italy, ma anche di essere una delle chiavi di attrazione del mondo verso l’Italia: rafforzare l’identità del lavoro italiano come quella di un paese che alle bellezze artistiche e paesaggistiche coniuga il buon cibo e la buona cucina.
Come dice la segretaria nazionale Flai Stefania Crogi «è necessario fare presto e fare bene, perché Expo 2015 non è occasione che possa essere sprecata: dovrà essere non solo una vetrina del buon cibo ma anche il luogo dove si possa dire e mostrare che la qualità dei prodotti è qualità del lavoro e quindi diritti”.
La Regione Liguria, con le Camere di Commercio e Liguria International, da quello che è dato sapere, sta lavorando su due progetti: a Levante il biologico e il vino, a Ponente l’olivo e gli antichi percorsi verso la pianura padana. E si punta a mettere in rete fiere e sagre.
Il 18 giugno, durante l’incontro conclusivo del Road Show organizzato da Liguria International in collaborazione con le quattro Camere di Commercio liguri, l’assessore regionale Angelo Berlangieri sosteneva oltre all’importanza di «tenere informato il territorio sul percorso di avvicinamento all’inaugurazione di Expo Milano 2015», la necessità «fondamentale di condividere e raccogliere idee, suggerimenti e proposte su come costruire insieme la modalità della nostra presenza a Milano». Anche il sindacato, con quel convegno di fine settembre, si è proposto come interlocutore e portatore di idee, proponendo che Expo rappresenti un’occasione per: la qualità del lavoro, la qualità dei diritti e delle tutele. Questioni – come dice Crogi – che devono essere tutt’uno con la bontà dei prodotti, con l’ambiente e con un buono e corretto utilizzo del territorio.
Il made in Italy è identificato sempre più con i prodotti dell’industria alimentare e dell’agricoltura nazionale. Lo dice anche una recente ricerca Doxa Federalimentare secondo cui 6 italiani su 10 indicano il settore alimentare come quello che meglio ci rappresenta nel mondo. Solo la moda riesce ad avvicinare la reputazione di cui gode il made in Italy alimentare.
Ma all’estero a tavola, il falso made in Italy, l'”italian sounding”, l’utilizzo cioè di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per commercializzare prodotti in realtà non riconducibili al nostro Paese – lo dice il rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti con Eurispes – ha superato nel 2013 i 60 miliardi di euro, quasi il doppio del fatturato delle esportazioni nazionali degli stessi prodotti originali; sono falsi due prodotti alimentari di tipo italiano su tre. Secondo le ultime stime di Coldiretti, il fenomeno dell’italian sounding, costerebbe all’Italia 300mila posti di lavoro.
Il fatturato 2013 dell’industria alimentare, ha raggiunto i 132 miliardi di euro (+1,5% sul 2012) come indica il Centro studi Federalimentare su dati Istat. Record storico per il valore delle esportazioni di prodotti alimentari italiani che, trainate dal vino, sono arrivate a quota 26,2 miliardi di euro (+ 5,8% rispetto al 2012).
Ma la caduta dei consumi alimentari interni è stata vistosa: lo scorso anno quasi 4 punti in meno rispetto al 2012, punti che si sono aggiunti ai dieci accumulati nei cinque anni precedenti. Con un nuovo fenomeno, l’aumento esponenziale del down trading (i discount) e del down grading (l’acquisto di prodotti a marchio Coop, Conad, ecc).
La forza lavoro dell’industria alimentare italiana, nel 2013 quotava 385.000 addetti, segnando erosioni largamente inferiori a quelle di altri settori. Dal 2005 al 2013, nel settore alimentare, le ore di cassa integrazione autorizzate, sono passate da 2.849.464 a 16.452.603 con un aumento superiore al 500%.
E questo vale anche in una regione piccola come la Liguria. Da 13.424 ore di cig del 2005, alle 285.769 del 2013 per la Liguria; per Genova rispettivamente da 13.411 a 186.949.
La Liguria, del resto, appare esemplare nel rappresentare punti di forza e punti di debolezza del settore a livello italiano.
I punti di forza sono considerati: prodotti di alta qualità, possibilità di successo nei mercati nazionali e internazionali, stretti legami con territorio e col patrimonio culturale italiano, in genere alti standard di sicurezza, tradizione più innovazione, possibilità di sinergie con i nuovi flussi turistici.
Ma il settore, e quello ligure in particolare, presenta anche una serie di punti di maggiore criticità: il fatto di essere polverizzato e poco capitalizzato, l’insufficiente innovazione, gli alti costi soprattutto per logistica e servizi (energia, infrastrutture, ecc.), la bassa crescita dell’export verso competitor europei, la contraffazione (stima: 6 miliardi di euro) e l’imitazione (stima 54 miliardi euro), l’assenza di catene distributive italiane nel mondo a parte l’avvio di Eatily (per esempio Carrefour è un potentissimo volano per i prodotti francesi).
Nel settore alimentare, le imprese artigiane rappresentano una quota elevatissima. I dati Infocamere riferiti al 2013, parlano di 60.249 aziende in Italia di cui il 66,6% artigiane e per la Liguria 1.806 unità (un +2% sul 2012), di cui 1.453 artigiane, vale a dire oltre l’80%.
La polverizzazione è evidente: la maggior parte delle imprese artigiane vede impegnati i titolari e qualche famigliare: si tratta molto spesso di one man company. Lo confermano i dati Liguria 2013: il 46% sono ditte individuali, il 49% sono società di persone e solo il 5% società di capitale.
Tra le tipologie aziendali artigiane alimentari maggiormente rappresentate a livello regionale, quella operante nei settori della produzione di prodotti da forno e farinacei: nel 2013 sono 1.225 in Liguria, 640 a Genova, 145 a Imperia, 164 alla Spezia e 276 a Savona.
Anche nel suo piccolo, la Liguria fa parte di un settore fatto di qualità, eccellenze, dati confortanti sull’export, valore del made in Italy, basti pensare ai prodotti riconosciuti come Dop, Igp e Stg (specialità tradizionale garantita) o ai vini Doc e Igp. Come indicano i dati forniti il 18 settembre dall’Istat, col Report sui prodotti agroalimentari di qualità, i riconoscimenti nazionali vanno all’olio della Riviera Ligure (Dop), alle acciughe sottosale del Mar Ligure (Igp), e al basilico genovese (Dop).
Come valorizzare questo settore e le sue produzioni peculiari e tipiche e, contemporaneamente puntare su un ampliamento della base occupazionale?
Forse lo slogan “piccolo è bello” in un mercato globale non ha più molto senso. Forse – e le associazioni di categoria provano a indicare questa strada – sarebbe necessario trovare sinergie, e accordi tra le aziende, patti di filiera per creare maggiore collegamento tra produzione, trasformazione e commercializzazione senza però rinunciare a quelle specificità di produzione, di cultura e di gusto. Ma i bandi regionali per favorire le reti di impresa, come si è dimostrato qualche mese fa, hanno scarse risposte soprattutto in questo settore.
Alcuni tentativi, almeno di collaborazione e di riconoscimento di qualità, si fanno sotto vari marchi: come i punti vendita Campagna Amica di Coldiretti che propongono prodotti a chilometro zero. Interessante è l’esperienza di Genova Gourmet, il marchio collettivo geografico per la ristorazione genovese (che si sta allargando alla Liguria) ideato, registrato e garantito dalla Camera di Commercio di Genova per valorizzare e tutelare l´eccellenza e tipicità della gastronomia locale. E lo stesso vale per il marchio “Artigiani in Liguria” voluto dalla Regione nel 2003 e che, tra le dieci lavorazioni classificate, comprende anche il cioccolato, tipicità ligure dal Settecento. E lo stesso si può dire per altre iniziative delle associazioni di categoria.
Ma è necessario anche puntare sul marketing, un rapporto diretto diverso con la grande distribuzione. Come sottolinea Sergio Di Paolo, il marketing sta portando il vero pesto nel mondo grazie al Campionato mondiale del pesto. Ed è necessario che vengano rilasciati protocolli a difesa del consumatore ma anche dei produttori seri e di qualità.