La Commissione europea ha appena inoltrato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora relativamente al rilascio di autorizzazioni riguardanti l’utilizzo, a scopo di turismo balneare, del demanio marittimo. Nel 2018, il governo M5S-Lega aveva infatti consentito il rinnovo delle concessioni fino al 2033, senza procedura ad evidenza pubblica, nonostante una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea avesse già dichiarato illegittime le proroghe senza gara delle concessioni balneari, perché in violazione della Direttiva Bolkestein.
Come avevamo già argomentato nell’estate dello scorso anno su questo giornale (leggi qui ), era lecito attendersi l’avvio di una procedura di infrazione che, con la lettera di oggi, la Commissione ha formalizzato. Nella lettera, la Commissione sostiene che, alla luce della scarsità delle risorse naturali, come le spiagge, gli Stati membri sono tenuti a garantire che le concessioni “siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”. Inoltre, la Commissione, giustamente, nota che le procedure a evidenza pubblica meglio si prestano a tutelare la concorrenza e, in questo modo, l’innovazione e gli interessi dei consumatori. La Commissione inoltre nota come la normativa italiana, contrastando con la normativa europea, causi incertezza giuridica e quindi, come è lecito attendersi, freni gli investimenti nel settore.
A fronte di queste considerazioni della Commissione, è probabile che le forze politiche presenti in Parlamento – e nei vari Consigli regionali che hanno legiferato in materia, come quello ligure – opporranno, come già in passato, non ben chiari riferimenti a presunte peculiarità del modello italiano di turismo balneare e, soprattutto, gli effetti drammatici, dal punto di vista occupazionale, che procedure ad evidenza pubblica comporterebbero per il comparto.
Tuttavia, come avevamo già argomentato nel nostro articolo dello scorso anno, le preoccupazioni relative a pesanti ricadute occupazionali nel settore, nel caso si adottasse la procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento delle concessioni, sono in larga parte non giustificate.
In prima approssimazione, se la procedura di gara sarà infatti finalizzata a massimizzare l’introito per l’erario, ci sembra assolutamente lecito attendersi che l’occupazione rimarrà stabile e che i consumatori non paghino prezzi più alti rispetto a quelli attuali. Infatti, rebus sic stantibus, i prezzi non riflettono solo i costi di produzione del servizio, ma incorporano una rendita monopolistica (più correttamente, oligopolistica) che deriva dalla detenzione di un fattore scarso, l’accesso al mare. In altri termini, le imprese balneari riescono a fissare un prezzo che consente di coprire i costi di produzione, comprensivi dello stipendio del titolare, il compenso per il rischio imprenditoriale e assicura la rendita di cui sopra. I prezzi attuali pertanto rispecchiano questo potere monopolistico e consentono alle imprese balneari di massimizzare il profitto del monopolista. La gara non fa altro che riassegnare questa rendita al settore pubblico. Questo perché, in presenza di procedura ad evidenza pubblica, i partecipanti alla gara saranno disposti a pagare, per aggiudicarsi la concessione, un ammontare pari alla rendita di cui godranno una volta stabilito il prezzo di monopolio. Quest’ultimo però non cambia rispetto a quello attuale, perché i costi di produzione non sono cambiati, essendo il canone solo un costo di accesso al mercato.
In altri termini, la gara è lo strumento con cui il pubblico si appropria della rendita oligopolistica. Gli effetti sui prezzi saranno nulli, la “quantità” di servizi venduta al pubblico sarà inalterata e, pertanto, gli effetti sull’occupazione saranno in prima approssimazione nulli anch’essi.
Certamente quello che accadrà sarà una caduta nei margini di profitto, in quanto la rendita oligopolistica passerà dai gestori allo Stato, che aumenterà i suoi introiti. Vogliamo però sottolineare che al gestore rimarrà il proprio stipendio, oltre ad una remunerazione normale del capitale investito, cioè simile a quella di attività con analogo profilo di rischio.
Naturalmente i gestori potrebbero sempre puntare a guadagni di efficienza per aumentare i propri margini, riducendo i costi di produzione o migliorando la qualità del servizio. Potrebbero ad esempio introdurre innovazioni nella gamma di servizi offerti, al fine di attrarre più consumatori o clienti disposti a pagare per i nuovi servizi a più elevato valore aggiunto. In altri termini, come ha notato la Commissione, la procedura ad evidenza pubblica è lo strumento migliore per tutelare il benessere dei consumatori. Ciò avverrebbe in modo ancora più marcato se la gara, invece di essere finalizzata a massimizzare gli introiti per il governo, fosse costruita in modo tale da far vincere il gestore in grado di offrire i servizi al minor costo possibile (muovendosi verso un modello del tipo “spiaggia libera attrezzata”), anche se ovviamente ciò comporterebbe un azzeramento nei già magri canoni di concessione.
Ci appaiono inoltre piuttosto deboli le due argomentazioni principali avanzate da chi si oppone allo strumento della gara ad evidenza pubblica, vale a dire la colonizzazione del settore balneare da parte di multinazionali, italiane o straniere, e la mancata remunerazione degli investimenti realizzati da parte dei gestori uscenti.
Per quanto riguarda il primo punto, non ci sembra che esistano forti economie di scala nella gestione degli stabilimenti balneari; pertanto, non ci aspettiamo che pochi grandi gruppi si “approprino” delle concessioni (d’altra parte, i margini di profitto saranno bassi se le procedure di gara saranno costruite in modo corretto, limitando in tal modo l’interesse dei grandi gruppi). D’altronde, nei Paesi dove le gare nel settore balneare sono regolarmente svolte, non si assiste a forme rilevanti di concentrazione nel settore. Se poi questo rimanesse un timore, basterebbe limitare ad una le concessioni ottenibili in ogni Comune.
Sulla questione degli investimenti, è sufficiente che il gestore subentrante paghi all’uscente il valore residuo del fondo ammortamento.
Vorremo concludere con due considerazioni. La scelta del Governo italiano ha finora comportato un danno sostanziale per l’erario a causa degli spesso ridicoli canoni demaniali finora imposti: speriamo davvero che al danno derivante dal mancato introito non si aggiunga la beffa delle future sanzioni che colpiranno il Paese in caso di mancato adempimento agli obblighi derivanti dal diritto dell’Ue.
Infine, si spera che, per una volta, le forze politiche capiscano l’importanza, in un Paese fondato sulla rendita, di assumere una visione che non sia pro-business, ma pro-mercato. Essere pro-business significa infatti proteggere gli interessi delle imprese operanti sul mercato. Essere pro-mercato significa invece capire che, tutelando la concorrenza, spesso si proteggono gli interessi generali, sia dei consumatori, sia di potenziali giovani (e meno giovani) imprenditori, che avrebbero idee innovative e desidererebbero mettersi alla prova, e che con una “procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”, potrebbero avere la possibilità di dimostrarlo.
(Gabriele Cardullo e Maurizio Conti)