Non soltanto i vaccini non sono pericolosi, e anzi restano indispensabili per tenere a bada certe malattie, ma gli ogm sono innocui e utili, Vandana Shiva ha diffuso dati falsi, i prodotti bio risultano essere uguali agli altri e Slow Food distorce la realtà per affermare una concezione di cibo naturale priva di fondamento e piena di contraddizioni. Chi osa fare queste affermazioni, andando contro tabù e luoghi comuni, è Silvano Fuso, un professore di Chimica genovese.
Silvano Fuso, 56 anni, sposato con un figlio di 15, è insegnante di Chimica ma il suo nome è anche quello di un asteroide, 214715 (2006 TF7) “Silvanofuso”. Non bisogna confondere. Il professore insegna al liceo scientifico Primo Levi, a Ronco Scrivia, Borgo Fornari, l’asteroide rotea nello spazio tra l’orbita di Marte e quella di Giove.
La congiunzione tra il professore e l’asteroide è avvenuta grazie a una costante della vita di Fuso, l’attività di divulgazione scientifica. «Avevo tenuto una conferenza – racconta a Liguria Business Journal – all’Osservatorio Astronomico di San Marcello Pistoiese, nel novembre 2012 e gli amici dell’Osservatorio hanno deciso gentilmente di intitolarmi un asteroide che avevano scoperto. La loro richiesta è stata accettata dal Minor Planet Center dell’International Astronomical Union con comunicazione ufficiale del 27 gennaio 2013».
Fuso si interessa da tempo di indagini scientifiche sul presunto paranormale e di pseudoscienze. È socio effettivo del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), segretario regionale del Cicap-Liguria e coordinatore del Gruppo-Scuola del medesimo Comitato. E per fare chiarezza sul contributo che scienza e tecnologia hanno fornito al miglioramento della qualità della vita dell’uomo e sul rapporto tra scienza e tecnologia e natura ha scritto un libro pubblicato di recente, “Naturale=Buono?” (Carocci editore).
«Da più parti della nostra società – spiega – emerge il desiderio di uno stile di vita più naturale e la nostalgia di un passato idealizzato. I bei tempi antichi, i sapori di una volta, i rimedi della nonna, la genuinità di certi prodotti, l’armonia con la natura sono richiami che esercitano un fascino irresistibile su molti individui. L’aggettivo “naturale” è oramai sinonimo di bontà, salute, sicurezza, genuinità ed è spesso associato a diverse attività umane: agricoltura, alimentazione, medicina, cosmesi, sessualità eccetera. Ma siamo sicuri che tutto ciò che è naturale sia davvero buono? E ciò che viene chiamato naturale è davvero tale»?
Per rispondere a queste domande Fuso nel suo libro prende in esame diverse attività umane, l’agricoltura, il cibo, la cosmesi, i trasporti, la sessualità, la medicina, e altre ancora. E incontra tabù e luoghi comuni a cui molti sono affezionati. Come quelli sugli ogm, i prodotti bio e quelli che sostengono la concezione del cibo di Slow Food.
«Il punto di partenza dei pregiudizi antiscientifici – premette il professore – è l’idea secondo la quale ciò che è naturale è necessariamente buono. Un’idea priva di fondatezza. Basti pensare a quello che succede mangiando un fungo velenoso per capirlo. Ma naturale è un termine ambiguo, perché è ambiguo il concetto di natura. In realtà non c’è niente di più culturale dell’idea di natura, strettamente legata alla cultura che l’uomo possiede in un determinato periodo storico».
Il punto di arrivo sono spesso mistificazioni, leggende o vere e proprie bugie.
Come quelle sugli ogm. «Sugli ogm circolano diverse leggende. Oltre a quella della fantomatica fragola-pesce, l’organismo ottenuto mescolando geni della fragola e di una pesce, che suscita orrore ma non è mai esistito, una delle leggende più diffuse è che questi organismi siano sterili e che pertanto i contadini che producono, per esempio grano o soia ogm, siano obbligati a comperare ogni volta le sementi, restando così vincolati alle multinazionali loro fornitrici . Gli ogm non sono sterili, questa è una balla solenne, e gli agricoltori che li producono ricomperano ogni anno i semi perché così fanno tutti gli agricoltori, anche quelli che coltivano frutta, verdura o cereali “naturali”. Nessuno dagli anni Sessanta, utilizza più sementi autoprodotte, esponendosi al rischio della comparsa di caratteri recessivi. Su questo argomento la famosa Vandana Shiva ha diffuso un falso clamoroso. Aveva denunciato un aumento di suicidi tra i produttori indiani di cotone ogm, costretti alla bancarotta dalle multinazionali che li tenevano in pugno. Una denuncia che ha suscitato sdegno nel mondo, finché qualcuno non è andato a controllare le statistiche e ha visto che non c’era alcun aumento di suicidi tra i produttori di cotone indiani. L’unica cosa vera è che i produttori di ogm sono pochissimi nel mondo, sono grandi multinazionali ma questo è il risultato delle politiche ambientaliste: gli ogm vengono sottoposti a controlli sempre più severi e costosi, sostenibili soltanto da parte di poche imprese. Si è stimato che che per commercializzare un prodotto ogm attualmente servano circa 50 milioni di euro. E non è vero che mangiare direttamente cibi ogm o derivanti da animali nutriti con essi faccia male. Tutti gli studi seri lo hanno smentito. Gli ogm sono utilizzati ormai da anni in molte parti del mondo senza che abbiano causato problemi di salute».
Fuso precisa che «anche prodotti tipici italiani, come il Grana padano e il Prosciutto crudo di Parma derivano da animali nutriti con piante ogm, soprattutto soia. I continui richiami pubblicitari ad alimenti ogm free sono soltanto operazioni di marketing che sfruttano la disinformazione diffusa. E non è neppure vero che le piante ogm producano effetti dannose per l’ambiente. Al contrario, sono state progettate per resistere meglio a parassiti e malattie, quindi richiedono minori quantità di insetticidi e agrofarmaci. Possono anche contribuire a salvaguardare la biodiversità, permettendo il recupero di varietà suscettibili a malattie, attacchi di parassiti, eccetera. È il caso di alcuni prodotti tipici dell’agricoltura italiana, come il melo della Valle d’Aosta e il pomodoro di San Marzano».
Altro luogo comune è quello della presunta superiorità dell’ortofrutta “biologica”. «Uno dei cavalli di battaglia degli agricoltori biologici – dice Fuso – è il rifiuto di utilizzare sostanze chimiche o di sintesi. Ma ogni sostanza è chimica, perché fatta di molecole, a loro volta fatte di atomi. Quello che determina le proprietà di una sostanza è esclusivamente la struttura molecolare, indipendentemente dal modo in cui la molecola è stata ottenuta. Una molecola d’acqua di una sorgente alpina o una molecola creata in laboratorio facendo reagire idrogeno e ossigeno sono assolutamente uguali. Del resto la superiorità qualitativa dei prodotti bio non è mai stata dimostrata. Un articolo comparso nel 2009 sull’American Journal of Clinical nutrition ha passato in rassegna tutti i lavori scientifici pubblicati dal 1958 sulle comparazioni tra prodotti biologici e convenzionali: da queste comparazioni non sono emerse differenze significative tra prodotti biologici e non».
Fuso nella sua battaglia contro i luoghi comuni non teme nemmeno un colosso mediatico come Slow Food: «Il suo programma consiste niente meno che nel cambiare le abitudini alimentari e i modi di produrre cibo di tutta la popolazione mondiale. Ma i cibi decantati da Slow Food sono molto costosi, è impossibile sfamare la popolazione mondiale con il lardo di Colonnata e simili. Per sostenere le sue contraddizioni, quindi, Slow Food è costretta a barare, distorcendo i fatti. A partire dalle critiche all’agricoltura moderna, che non riuscirebbe a sfamare tutti. In realtà la rivoluzione verde ha dato contributi insostituibili alla fame nel mondo. La diffusione di un’agricoltura “naturale” aumenterebbe in misura drammatica la fame. E poi, proporre un’agricoltura “naturale” in alternativa a quella industriale non ha senso. L’agricoltura è in sé una pratica innaturale e la sua storia è quella di una costante lotta tra uomo e natura. D’altra parte il concetto di naturalità sostenuto da Slow Food appare molto soggettivo. Petrini si scandalizza perché i peperoni quadrati di Asti vengono sostituiti oggi da quelli olandesi e perché i contadini astigiani tendono a sostituire la coltivazione e dei peperoni con quella dei tulipani. Ma i peperoni non sono tipici dell’astigiano, sono stati importati in Europa dall’America. E i tulipani non sono affatto tipici dell’Olanda: originari del Medio Oriente, sono stati introdotti in Europa nel XVI secolo. Un attivista Slow Food del Cinquecento avrebbe cercato di impedire l’importazione dei peperoni in Europa».
Anche i vaccini sono vittime di pregiudizi antiscientifici. «Questo – sottolinea il professore – è un fenomeno gravissimo, il rifiuto irrazionale dei vaccini sta diventando un problema sociale. Al di sopra di una certa percentuale di popolazione vaccinata, una malattia scompare, perché il virus non si propaga, se la soglia scende sotto un determinato livello la malattia ritorna. L’opposizione ai vaccini è sempre stata, fin dalle sue origini, puramente ideologica e priva di qualsiasi motivazione razionale. In certi casi si è arrivati diffondere dati falsi. Nel 1998 il medico inglese Andrew Wakefield pubblicò un articolo sulla rivista “The Lancet” in cui sosteneva un presunto legame tra l’uso del vaccino trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia) e autismo. In seguito si è dimostrato che Wakefield aveva falsificato i dati, dietro compenso economico, per fare ottenere risarcimenti ai genitori di bambini autistici che avevano fatto causa alle case farmaceutiche». Paradossalmente i complottisti accusano chi difende i vaccini di essere al soldo delle case farmaceutiche, ma l’unico a essere stato pagato per dichiarare il falso è stato proprio Wakefield.
Wakefield, successivamente radiato dall’Ordine dei Medici, aveva spinto molti genitori a rifiutare il vaccino e per i propri figli e tuttora, basta guardare cosa si scrive sul web, la diffidenza verso i vaccini non è scomparsa.
«Occorre anche più impegno da parte delle istituzioni. Nel caso dei vaccini il ministero della Sanità è intervenuto bene ma ci sono parlamentari che parlano di scie chimiche, altri che avevano a suo tempo difeso il metodo Di Bella, e l’opposizione agli ogm accomuna destra e sinistra. C’è ancora molto cammino da fare».