Feriti e umiliati. Si definiscono così, i genitori dei 1.200 bimbi disabili genovesi in attesa delle prestazioni riabilitative previste dai Lea, dopo che il consiglio regionale, a stretta maggioranza di centrodestra, ieri ha bocciato un emendamento presentato da tutta la minoranza per impegnare cinque milioni per il drastico taglio delle liste di attesa. Lo rende noto l’Agenzia Dire.
La copertura finanziaria sarebbe stata garantita dal credito che il Corerh, il coordinamento regionale enti riabilitazione handicap, vanta nei confronti dell’ente, secondo quanto stabilito dal Tar sulla regressione sanitaria. Ma il governatore Giovanni Toti, motivando il voto contrario, ha spiegato che la trattativa con il Corerh è ancora in corso e che, nel frattempo, la giunta ha stanziato i primi 3,7 milioni di risorse proprie ed è pronta a stanziarne altri nel corso del 2022.
«In questo momento, noi genitori siamo davvero sgomenti e increduli – commenta Marco Macrì, portavoce della famiglie, intervistato dalla Dire – benché la minoranza abbia votato compatta a favore, si registra il diniego compatto della maggioranza che, in barba ai diritti dei bambini con disabilità, ha approvato le spese per la comunicazione del presidente e della Regione tutta. Vorrà dire che ogni bimbo o bimba che guarderà le magliette delle squadre di calcio liguri, che guarderà le televisioni locali o le campagne di comunicazione della Regione, potrà dire: ‘Mamma, papà, sono pagati con i soldi con cui potevo essere curato’. La maggioranza ha preferito anteporre la pubblicità alle cure dei bambini».
Per Macrì, «oltre alla capacità di offrire belle immagini per invogliare turisti, una Regione deve brillare per le scelte concrete che opera, soprattutto a favore dei più fragili, includendoli nella società e nel territorio. Forse, chi ha scelto in tal senso, non ha compreso che il passaparola migliore e la cassa di risonanza più efficace non sono le pagine patinate, ma il grazie delle famiglie e le prospettive di qualità di vita migliore per i bambini con disabilità. Forse, la presunzione di chi è più forte conduce a dimenticare e a lasciare nell’ombra chi fa più fatica e non ha voce».
La rabbia dei genitori è palpabile perché, spiegano, «non possiamo rassegnarci. Avremmo potuto addormentare i nostri bambini con una serenità diversa, sarà invece un’altra notte di preoccupazione, di angoscia per non sapere come fare a continuare a pagare le terapie privatamente. E chi proprio non può, addormenterà il proprio figlio sentendosi quasi in colpa per non potergli garantire le cure di cui avrebbe bisogno. Ma come si può non comprendere l’ingiustizia di una scelta del genere?».
Macrì precisa che «questa non è una guerra, ma il perseguire la strada del diritto, del riconoscimento civile dei diritti costituzionali e delle tante normative che sanciscono e sostengono il diritto alle terapie. Continueremo a ricercare ascolto, a chiedere soluzioni. Noi non possiamo rassegnarci perché i nostri figli, ogni giorno che passa, perdono un’opportunità di ridurre la loro difficoltà o di risolvere il loro problema o non aggravarlo».