Francesco Vecchi nel suo libro “Non dobbiamo salvare il mondo. Dall’auto elettrica al bio, tutti i falsi miti della religione green”, pubblicato da Piemme, affronta un tema, quello del cambiamemto climatico, su cui ogni giorno siamo bombardati di dati e, soprattutto, di opinioni ed esortazioni moraleggianti.
Ambiente e sviluppo economico, è la tesi di fondo del libro di Francesco Vecchi, non solo non sono incompatibili ma la salvaguardia del primo presuppone lo sviluppo del secondo.
Il clima è cambiato, il riscaldamento globale è in atto. Che sia naturale o, come ritiene la maggior parte degli scienziati, dovuto all’attività dell’uomo, sta producendo effetti preoccupanti ed è prevedibile che ne produrrà in futuro. E che a farne a farne le spese, se non adotteremo misure efficaci, saranno soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Ma quali sono queste misure? Qual è la strategia migliore per affrontare i cambiamenti climatici?
Su queste scelte si gioca il nostro futuro. E a questo proposito stiamo attenti a certi profeti, eredi di chi prevedeva il crollo dell’economia di libero mercato e ha invece visto il crollo delle proprie teorie. Il criterio guida deve essere quello che la crescita e il progresso tecnologico sono i maggiori ingredienti del benessere, compresa la resilienza rispetto al clima.
Gli apocalittici spesso sbagliano. Negli anni Settanta si prendeva sul serio chi prevedeva una imminente catastrofe per l’umanità dovuta all’impossibilità di produrre cibo a sufficienza per tutti e all’aggravarsi dell’ inquinamento. C’era chi proponeva l’adozione di politiche coercitive per la riduzione del numero delle nascite.
Oggi, una cinquantina d’anni dopo, mai così tanti abitanti hanno popolato la Terra. Mai abbiamo vissuto così a lungo. Il numero di persone che vivono in povertà assoluta non è mai stato così basso in rapporto alla popolazione totale: secondo la Banca Mondiale, nel 2024 è stato l’8,5% della popolazione mondiale, nel 1990 era circa il 38%. Quello di povertà assoluta è un concetto suscettibile di diverse interpretazioni, inoltre il calo non è avvenuto in misura omogenea nel globo, in gran parte si deve allo sviluppo economico della Cina. Comunque, il trend è innegabile. Si deve all’agroindustria, che produce più cibo per tutti e a minor costo, e non al ritorno all’”agricoltura “naturale”, e si deve alla globalizzazione. Come è evidente che, nonostante certe previsioni catastrofiche, l’inquinamento è diminuito, e le nostre città sono più pulite rispetto a qualche decennio fa.
Francesco Vecchi, si legge nella presentazione di Piemme “Sfida la tesi che ambiente e sviluppo economico siano incompatibili, sostenendo che la vera questione non è salvare il pianeta, ma salvare noi stessi. Questo libro invita a superare la visione catastrofista del millenarismo green; ad abbracciare la scienza e di conseguenza un ambientalismo pragmatico basato su fatti e numeri. Analizzando i problemi sociali, economici ed ecologici interconnessi, Vecchi mette in discussione l’affidamento esclusivo di un Paese come l’Italia alle energie rinnovabili, l’impatto ambientale delle auto elettriche e l’assunto che gli otto miliardi di persone che popolano il pianeta potranno mai sfamarsi con cibo «bio». Sostiene invece l’adozione di tecnologie come il nucleare di quarta generazione e l’agricoltura geneticamente modificata, fondamentali per affrontare le sfide del riscaldamento globale, senza precipitare in una decrescita economica tutt’altro che felice”.
Su questo argomento vedi anche “Non è ancora la fine del mondo” di Vince Ebert (Liberilibri)
Francesco Vecchi (Milano, 1982) è laureato in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi. Collabora con il Corriere della Sera e con Linkiesta.it.