La pera, si sa, è dolce, succosa e molto versatile. In genere viene considerata un frutto autunnale e invernale, ma la sua stagionalità è ampia, dipende dalla varietà e dalla regione in cui viene coltivata. Ci sono pere primaverili e anche estive. In questi giorni sui banchi dell’ortofrutta possiamo trovare le Conference, le Kaiser, le Abate, le Decana e le Rosada e altre.
D’altra parte, è noto il proverbio “Al contadino non devi far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”. In effetti l’abbinamento tra pere e formaggio è uno dei più felici in cucina: la dolcezza e la succosità della pera e il sapore deciso e salato del formaggio creano un equilibrio perfetto. Del resto l’abitudine di accostare frutta e formaggio (anche se non cacio e pere) è presente fin dai tempi degli antichi Romani. Lo raccomanda Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C. Ora abbiano un po’ perso questa fantasia combinatoria, che era anche legata alle teorie della medicina antica sulla necessità di equilibrare cibi classificati come freddi, umidi, caldi, secchi per mantenere l’equilibrio degli umori nel corpo. Ci sono rimasti l’onnipresente prosciutto crudo e melone e poco altro (oltre alla fantasia degli chef), in genere nei piatti di selvaggina (pere e confittura di mirtilli, per esempio, compaiono in una splendida ricetta tradizionale per il capriolo). Ma torniamo al formaggio con le pere. Perché non far sapere al contadino che sono così buoni? Lo storico Massimo Montanari ha scoperto che la nobiltà ha iniziato ad apprezzare il formaggio con le pere sin dal Medioevo. È possibile che questo abbinamento fosse considerato espressione di una raffinatezza di cuichi lavorava la terra non era degno. O forse il proverbio metteva in guardia dal pericolo che se il contadino fosse stato consapevole della delizia del binomio cacio-pere avrebbe cercato di consegnarne il meno possibile le componenti ai suoi padroni. La lotta di classe nelle campagne era durissima.
Oggi, grazie a Dio, i contadini, o più spesso l’agroindustria, sono felici di rifornirci di pere e di formaggio, che possiamo utilizzare come ci pare, purché glieli paghiamo.
E allora veniamo a una ricetta della Val Borbera, il risotto al Montébore e pere. La Val Borbera è una vallata dell’Appennino ligure formata dal torrente Borbera, tributario dello Scrivia. È situata nella zona del Novese, la porzione più a sud est del Piemonte, al confine con la Liguria. L’area di produzione del formaggio Montébore viene collocata nella frazione di Montébore del Comune di Dernice nella zona che fa parte dei “Colli Tortonesi”, terra d’incontro di quattro regioni: Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna. Il Montébore è un formaggio storico, le cui origini risalgono al IX secolo, e che per un periodo era quasi scomparso prima di essere riscoperto. È molto versatile in cucina, anche grazie ai vari gradi di stagionatura. Il suo sapore latteo e burroso lo rende adatto a mantecare i risotti. È difficile trovarlo fuori della sua zona di produzione e la stessa ricetta del Risotto al Montébore non è diffusissima nella stessa Val Borbera. E tuttavia è rimasta, anche sul versante ligure. E oggi ve la proponiamo. Anche perché la sua freschezza, data dalla presenza del frutto, e il suo colore ci sembrano un bell’omaggio alla primavera, allo sbocciare dei fiori, al ritorno della luce e del calore, alla bellezza e all’allegria del rosa, dell’azzurro e del bianco, i colori della primavera.
Per la nostra ricetta dovremo accettare qualche compromesso, perché il Montébore non è facile da trovare. Lo sostituiremo con il parmigiano, oppure con il pecorino (sardo, meno piccante di quello romano).
Ingredienti: 400 grammi di riso (Carnaroli, Arborio, Vialone Nano e Roma), 180 grammi di Montébore di 5 mesi tagliato a dadini oppure di parmigiano reggiano o di pecorino sardo grattugiati o anche di un mix di entrambi; 50 grammi di burro; 1 cipolla; 1 bicchiere di vino bianco (Timorasso, vitigno a bacca bianca della zona dei Colli Tortonesi, coltivato soprattutto nelle Valli Curone, Grue, Ossona e in Val Borbera – si trova senza difficoltà – oppure con un altro bianco dal sapore intenso, minerale), brodo vegetale q.b., sale q.b; 4 pere e altri 10 grammi di burro per rosolarle: due rametti di rosmarino.
Preparazione. Sbucciate e togliete il torsolo a tre pere e tagliatele a dadini, togliete il torsolo alla quarta e tagliatela a fettine, anche senza sbucciarla. Tritate fine la cipolla e fatela appassire nel burro con il riso e il rosmarino (lasciando i ramettti interi). Dopo 4-5 minuti versate il vino, fatelo evaporare, e aggiungete le pere tagliate a dadini. Salate. Versate un primo mestolo di brodo vegetale, i rametti di rosmarino e proseguite nella cottura, aggiungendo brodo secondo necessità come per ogni risotto, e rimescolando delicatamente con un cucchiaio di legno. Intanto fate rosolare due minuti le fettine di pera in una padella e lasciatele da parte, nel loro burro. A cinque minuti da fine cottura togliete i rametti di rosmarino, versate nel tegame il formaggio e mescolate attentamente. (Il tempo di cottura si aggira sui 15 minuti ma controllate quanto indicato nella confezione). Fate riscaldare nella loro padella le fettine di pere. A fine cottura disponete il riso nei piatti con sopra le fettine di pere. Se volete, aggiungete un pizzico di rosmarino tritato finissimo. Potreste portare in tavola il Timorasso o altro vino con cui lo avete sostituito.
Placet experiri!