“Capitalismo di guerra-Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne)” di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro, pubblicato da Fuori Scena ci illustra la genesi e l’attuale configurazione di un fenomeno paradossale: “la globalizzazione ci ha reso più ricchi e il suo contrario ci rende e ci renderà più poveri”, eppure la sua età felice sembre finita, una fine che i dazi di Trump spettacolarizzano ma che è iniziata prima che l’attuale presidente degli Usa si insediasse per la seconda volta alla Casa Bianca.
“Grazie alla globalizzazione – si legge nel libro di Saravalle e Stagnaro – sono stati raggiunti risultati impensabili fino a pochi decenni prima. Quello forse più strabiliante è la riduzione della popolazione globale al di sotto della soglia di povertà, sia in valore assoluto, sia in termini relativi: secondo la Banca Mondiale, tra il 1990 e il 2022 il numero di individui che si trovano in questa drammatica condizione è calato da circa 2 miliardi a poco meno di 700 milioni. Il dato è ancora più clamoroso se consideriamo che, nel frattempo la popolazione globale è cresciuta da 5,3 a oltre 8 miliardi di persone: questo significa che, in proporzione, le persone con un reddito inferiore a 2,15 dollari al giorno (la soglia di povertà convenzionalmente adottata a livelllo internazionale) sono scese dal 38 per cento al 9 per cento”.
La fine della divisione del mondo in blocchi e soprattutto la crescente complessità dei prodotti hanno reso sempre meno sostenibile la dimensione nazionale dei mercati. Osservano i due autori: “L’autarchia, che i regimi nel periodo tra le due guerre mondiali consideravano un ideale a cui tendere, si è trasformata rapidamente in un incubo”.
I vantaggi della cooperazione e l’assurdità dell’autarchia sono verità di evidenza solare, del resto già nel buio degli anni Trenta Georges Simenon, che non era uno studioso di politica e di economia ma un artista geniale, e quindi capace di intuire la realtà in anticipo di decenni rispetto a gran parte di professionisti della politice e dell’economia, in un reportage pubblicato nel 1933 dalla rivista Voilà e ripubblicato insieme ad altri tre servizi da Adelphi nel 2020 con il titolo “Europa 33” , scriveva: «Ora tutti vogliono fabbricare i loro cannoni e le loro macchine da cucire. Pretendono di educarsi da soli e parlano di rinascita nazionale, il mondo ne è pieno, di rinascite nazionali che cozzano tra loro con un frastuono più o meno minaccioso».
Ora sembra si stia tornando a quei tempi. “Il mondo si rinchiude” è il titolo di uno dei capitoli di Capitalismo di guerra. Che cosa è successo? I due autori ripercorrono gli eventi degli ultimi due decenni che hanno messo in moto e sostengono questo processo: il fallimento di Lehman Brothers (15 settembre 2008) ha consentito a populisti e neosovranisti di invertire il segno di marcia e aprire le porte all’interventismo statale, dopo la recessione, la pandemia, la guerra tra Russia e Ucraina e la crisi energetica hanno alimentato la richiesta di interventi “eccezionali” da parte degli Stati, in Europa la spesa pubblica è esplosa, e ora le liberalizzazioni dopo trent’anni stanno cedendo s spazio alle nazionalizzazioni.
Giustamente nel libro si ricordano l’ostilità dell’opinione pubblica verso la globalizzazione sollecitata da certi maître à penser e da una parte dei media e le imponenti manifestazioni dei movimenti no global che si sono svolte nel mondo. L’esito delle battaglie politiche si decide, prima che nelle aule parlamentari e nei gabinetti di governo nelle menti delle persone. Così gli Stati sono sempre più presenti nelle imprese, le transazioni economiche sono sempre più determinate dalle decisioni dei governi, “con minacce di ripercussioni su altri tavoli, con contropartite occulte. E dunque, alla fine, c’è chi vince e c’è chi perde. E inevitabilmente aumentano l’acrimonia e la conflittualità internazionali”. Ma, avvertono Saravalle e Stagnaro, “non vogliamo dare una visione apocalittica degli eventi. Non pensiamo che il mondo stia attaversando una fase di inarrestabile declino dopo avere sperimentato una sorta di età dell’oro mercatista. I fenomeno sociali sono sempre complessi e sfaccettati e quasi mai hanno un carattere del tutto coerente”. Del resto, nonostante i cambiamenti descritti “il commercio internazionale continua, per il momento, a crescere senza sosta, perché l’economia è (ancora) più forte delle gride manzioniane con cui i politici sovranisti (e anche molti altrri che si atteggiano ad antipopulisti ma parlano la stessa lingua dei sovranisti) rivendicano il rifiuto della globalizzazione del progresso”.
Bisogna quindi combattere una battaglia culturale e che “i governi trovino degli accomodamenti per perseguire il proprio reale interesse economico”.