Con il centrosinistra alla ricerca di un candidato sindaco di Genova a circa tre mesi dalle elezioni comunali, arrivano le prime candidature dal basso. Linea Condivisa ha lanciato Rossella D’Acqui, stamattina ha presentato ufficialmente la propria candidatura Filippo Biolé, avvocato, presidente dell’Aned, dell’orchestra sinfonica di Sanremo e dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Ha convocato una conferenza stampa nel suo studio per rispondere a un appello iniziato a circolare online da qualche settimana che spingeva per una sua discesa in campo. e ha illustrato la proposta di “Dieci Genova che vogliamo” che sintetizza il programma e la visione di città dello stesso Biolè e di chi ne ha promosso la candidatura, su tutte l’architetta Marina Montolivo Poletti. Biolè ha precisato che la sua candidatura non intende dividere il centro sinistra e che sarebbe disposto a convergere su un candidato del Pd qualora lo ritenesse adeguato.
La Genova di Biolé è una “città della democrazia presa sul serio, della salute come diritto costituzionale, del buon lavoro, dell’alleanza pubblico-privato indirizzata dall’interesse generale”. Una città “dalla parte delle persone, dell’ambiente come impegno condiviso, dei più giovani a cui offrire spazi di socialità, dei meno giovani, dando un ruolo attivo all’età che ne valorizzi esperienze e competenze”. Ma anche una città “del sapere” e che “scende dall’Aventino con atti concreti per la ricostruzione del patto di fiducia tra politica e cittadini per il loro ritorno al coinvolgimento democratico”. Per il candidato sindaco, “la prima emergenza da affrontare è quella sociale, che deve passare attraverso la salute come riconoscimento di diritto costituzionale”. Ma parla anche della necessità di valorizzare “le scuole comunali perché ho vergogna di andare a frequentare quei luoghi, dove abituiamo gli studenti allo squallore e al disagio”
Con la sua candidatura non crede che ci sia il rischio di un’ulteriore spaccatura nel centro-sinistra?
«Tutt’altro, l’intendimento è quello di creare una convergenza, quindi è un appello alla serietà, al senso civico che io muovo nei confronti di tutte le persone con le quali con questa finalità ho già parlato prima d’ora affinché si comprenda che esiste un mondo civico che ha solo ed esclusivamente l’intendimento di unire. Mi ha spinto a candidarmi innanzitutto il senso del dovere che ha animato tutta la mia vita, il senso di profondo rispetto delle istituzioni, il desiderio di offrire quel che so e il fatto che sono in grado di collegare accanto a me un mondo che risponde ai medesimi valori, quelli fondativi dell’ordine democratico, secondo me gravemente compromessi e in rischio di esistenza sia a livello nazionale sia a livello locale. A questi valori io ritengo che si debba tornare. È tutto questo che mi ha fatto uscire da quella che è la comfort zone di un professionista tra tanti che ha dedicato gli ultimi dieci anni a svolgere attività gratuita a vantaggio del sociale nel rappresentare anche con attività di forte gestione manageriale enti pubblici partecipati, dallo Stato, dai comuni».
C’è stata anche una raccolta firme su change.org, insomma, chi è che la sostiene?
«È un mondo molto variegato, è tutto il mondo del lavoro. Persone, ma anche anziani, pensionati, professionisti, mondo accademico, persone con le quali parlo al mercato. È stata veramente una sorpresa, entusiasmante devo dire ho riscontrato un ritorno diffuso, variegato e veramente trasversale».
Prevede la costituzione costruzione di una lista civica?
«È ciò su cui stiamo lavorando assieme alle altre persone che avevano già lavorato per sé prima di sapere della mia candidatura e con le quali abbiamo trovato un dialogo immediato. Mi hanno cercato tutti. La costruzione di eventuale lista civica è un’opportunità, una possibilità che stiamo valutando con tutte queste persone».
Potrebbe convergere su un candidato del Pd qualora lo ritenesse adeguato?
«Assolutamente sì, se trovassi persone da condividere dotate di autorevolezza, specchiatezza, trasparenza, che facciano perno sui valori di cui parlavo non avrei alcuna difficoltà a valutare delle convergenze».
Biolè non ritiene di essere penalizzato dal fatto di essere un esordiente nella vita politica
«Ci troviamo n un mondo nel quale la gente ha perso completamente fiducia nella politica, dove non si crede più ai principi di rappresentatività innanzitutto, dove non ci si ritrova rispetto a un’offerta che è autoreferenziale, egoistica spesso e non propositiva a vantaggio della collettività. C’è una richiesta di una politica trasparente ed è quella che il mondo civico, chiamato forzosamente, potremmo dire, a fare politica è in grado di realizzare. Dovrebbe essere la normalità avere una politica che quello faccia di mestiere e che lo faccia con certe caratteristiche, ma d’altronde l’astensionismo al voto è la risposta rispetto a una politica che non risponde più, che non interpreta più le esigenze delle persone».
Che cos’è che non le piace dell’amministrazione di centro-destra?
«Soprattutto il fatto che non ci sia il desiderio di partecipazione da parte dei cittadini. Non a caso le tante persone che hanno cercato la nostra proposta per conoscerla incuriositi sono i comitati di quartiere, le associazioni di singoli cittadini che volevano scoprire se finalmente ci fosse qualcuno aperto all’ascolto e devo dire che questa è stata la chiave di volta. Con mia grande sorpresa mi sono reso conto del fatto che esiste un intero mondo che non è ascoltato E io in qualche modo, posso dire, lo faccio di mestiere da 25 anni, davanti alla mia scrivania si siedono eserciti di persone, di lavoratori, che piangono a volte disperati, che subiscono qualunque torto da parte dei loro datori di lavoro e che chiedono di poter esercitare i loro diritti. E questo ha fatto maturare in me una capacità può essere all’ascolto, qualificato, per poter interpretare i bisogni delle persone».
Biolè è critico nei confronti di progetti come quello del nuovo Galliera, del trasferimento di Ingegneria agli Erzelli, del waterfront di Levante. Ma rifiuta di essere etichettato come uno dei militanti del partito del no.
«Noi siamo invece il partito del sì, ma sì del fatto bene. Vogliamo che il Galliera trovi la sua giusta collocazione, la sua funzionalità che ha perso oramai da decenni, ma con un intervento che veda il finanziamento pubblico con la partecipazione dei privati prevalentemente rivolto alla conservazione del patrimonio e al bene primario che è quello della sanità con un aumento dei posti letto».
Nell’attuale progetto che cosa c’è che non va?
«Il fatto che ci sia un’inversione delle due prospettive e che quindi si pensi di più alla speculazione privata edilizia che non invece all’offerta del servizio pubblico alla cittadinanza».
Quanto agli Erzelli e al water front di Levante?
«La stessa facoltà di Ingegneria e molti ingegneri con i quali ho parlato sono del tutto contrari a quella che è una forma di emarginazione. Io sono per creare una situazione concentrata, unitaria, coordinata tra Balbi, l’Albergo dei Poveri e le altre sedi che ci sono e che potranno esserci. Un distretto universitario. Anche rispetto al Waterfront non ho mai avuto nessun tipo di preclusione aprioristica. Sono rimasto a guardare quello che era il progetto e devo dire che mi ha molto sorpreso il cambio di destinazione d’uso degli spazi. A un certo punto, dall’oggi al domani, abbiamo scoperto che uno di quegli edifici non avrebbe più avuto l’auditorium, non avrebbe più avuto una parte dedicata agli studenti – perché era previsto uno studentato – e addirittura una parte degli edifici sarebbe stato improvvisamente dedicato a un albergo di lusso. Ecco, io immagino invece una progettazione urbanistica, e di questo mi è stato dato conferma da chi l’urbanista lo fa. L’intervento pubblico, ovviamente con la partecipazione privata, in iniziative di questo genere deve far conoscere e valutare a monte, anche in termini di impatto ambientale, quella che sarà la destinazione d’uso di ciò che è da costruirsi. Mentre è accaduto che si è costruito per poi scoprire a posteriori quella che sarebbe stata una destinazione d’uso di estremo impatto di parte preponderante di quella struttura. E questo è un capovolgimento degli intendimenti e tradisce a il fatto che non ci sia la volontà di migliorare il territorio e la proposta abitativa o di servizi ma che in realtà si faccia per costruire a beneficio del privato e poi il primo privato che arriva e specula sia benvenuto».