Un fascio di luce sulla bellezza dell’arte popolare del passato per guardare insieme al futuro: Genova e la Romania hanno organizzato nel capoluogo ligure una mostra sulla cultura rurale romena scegliendo come contenitore una struttura che svolge un ruolo propulsivo nello scambio biunivoco di culture, Castello D’Albertis. Aperta il 5 ottobre al pubblico, la mostra sulle tradizioni popolari del Maramureș sarà visitabile fino 5 novembre 2023.
I rapporti economici tra Liguria e Romania sono sempre più intensi – del resto gli scambi commerciali della Romania avvengono principalmente con la Germania e con l’Italia – ma non si tratta solo di rapporti economici. Nel capoluogo ligure, secondo i dati Istat, quella romena è la seconda comunità straniera più numerosa, dopo l’ecuadoriana. I romeni a Genova sono l’11,6% dei quasi 60 mila cittadini provenienti da diversi paesi del mondo, oltre il 10% della popolazione residente residente. Nel luglio scorso la Romania ha nominato Eugenio Puddu, senior partner in Deloitte, come proprio console onorario a Genova con giurisprudenza sulla Liguria.
La presenza migratoria romena nella città della Lanterna offre ricchezza culturale e opportunità di continua evoluzione dal punto di vista sociale, e la costituzione del consolato onorario sta contribuendo non solo allo sviluppo economico ma a una crescente intesa sul piano umano e culturale, tra due popoli che hanno molto in comune, oltre all’origine latina. Tanto che l’Ambasciata di Romania in Italia, il Consolato Generale a Torino e il Consolato Onorario a Genova, con la collaborazione delle istituzioni culturali romene e del Comune di Genova, hanno voluto riproporre al Castello D’Albertis di Genova, dopo l’esposizione all’Accademia di Romania a Roma, la mostra di etnografia romena “Cămașa maramureșeană, măiestrIE și simbol” / “Sulle scIE delle tradizioni popolari del Maramureș: la simbolistica della camicetta femminile”. All’inaugurazione sono intervenuti, tra gli altri, il console generale di Romania a Torino, Joana Gheorghias, il console onorario di Romania a Genova Eugenio Puddu, l’assessore del Comune di Genova Antonio Gambino, la direttrice del Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo Maria Camilla De Palma.
Strutturata in due sezioni, una fotografica e una etnografica, la mostra rivela un autentico universo rurale, affascinante per la sua semplicità e le sue tradizioni. La mostra è un invito a conoscere il passato di una comunità per guardare al futuro. E Castello D’Albertis che la ospita, non è un contenitore neutro. La sua missione oggi è quella di svolgere un ruolo propulsivo nello scambio biunivoco di culture, di essere luogo della nuova cittadinanza, di trasformazione, di rigenerazione. Una missione che ha convinto gli organizzatori della mostra a sceglierlo come sede.
Il capitano Enrico Alberto D’Albertis, ideatore dell’edificio, che ha donato alla città alla sua morte nel 1932, ne aveva fatto la propria dimora, costruita su un bastione della cinta muraria cinquecentesca contenente i resti basamentali di una torre della precedente cinta medievale e arricchita di rimandi esotici, neogotici ed ispano-moreschi. Qui il capitano aveva raccolto reperti e testimonianze dei suoi viaggi in tutto il mondo, suppellettili, monili, armi, vasi, divani e lampade turche, collezioni oceaniane dell’Australia, della Melanesia e degli arcipelaghi polinesiani, resti archeologici mesoamericani (Aztechi, Teotihuacan, Costa Rica) e degli Hopi dell’Arizona, oltre alle armi africane sudanesi e dello Zambesi, lance cinesi, manufatti degli indigeni delle Pianure di Canada e Stati Uniti, e tanto altro. Un concentrato di meraviglie che ha avuto una notevole importanza nel diffondere la conoscenza di culture “esotiche” e oggi ha nuova missione.
«Quando nel 2004 abbiamo riaperto il Castello con il nome Museo delle Culture del mondo – spiega la direttrice Maria Camilla De Palma – abbiamo scelto un nome che iniziava ad apparire all’orizzonte seguendo le trasformazioni dei musei di antropologia di tutto il mondo, i quali non potevano essere più chiamati musei di antropologia. Chiamandolo Museo delle culture del mondo invece che museo etnografico abbiamo espresso l’intenzione di inserire noi stessi all’interno delle culture, di non creare una separazione fra noi e gli altri. Intendevamo porre Genova in relazione con il mondo in uno scambio biunivoco e non unilaterale: noi non guardiamo il mondo, noi siamo dentro il mondo. Ora che sono passati diversi anni, questa concezione è sempre più chiara: il punto di vista dell’Europa non può più essere punto di vista privilegiato, le prospettive sono quelle di un mondo decentrato. Lo sguardo positivista, eurocentrico, coloniale del capitano De Albertis era connotato dall’epoca, fine Ottocento. Ma il mondo cambia. Dire essere aperti alle culture del mondo oggi significa questo: non fare un viaggio di scoperta ma partecipare a uno scambio continuo. Del resto Genova poco prima del 2004 è diventata un luogo di approdi, di immigrazione, non solo più di emigrazione. Quindi il castello sembra proprio un luogo deputato per essere la casa di tutti i i cittadini, senza distinzioni. L’identità non è ferma, immobile, è dinamica e le contaminazioni sono ovunque, e sempre più quello che sembrava congelato, un revival neogotico con elementi fermi, diventa un luogo di métissage, di mescolamento. Le nostre identità sono sempre multiple. Per questo siamo molto lieti che la nostra struttura sia stata scelta come luogo della mostra. Sono rimasta molto impressionata, all’inizio mi sembrava che la scelta fosse rivolta, comprensibilmente del resto, alla dimensione paesaggistica, al panorama, al luogo di rappresentanza, poi mi sono resa conto che quello era solo l’inizio, e la condivisione, lo scambio, il punto di snodo, di relazioni e di cultura era il focus. Sono molto contenta che quello che sembrava una mostra breve, di rappresentanza, in realtà abbia una grande sostanza, un potenziale dinamico. Ospitare il corpo diplomatico e il museo del Maramureș è un’apertura sul futuro. Quando facciamo mostre lavoriamo insieme, creiamo un terzo spazio, non un luogo dove noi rappresentiamo l’altro».
“Nella mostra etnografica – si legge in una nota degli organizzatori – il Museo di Etnografia e Arte Popolare del distretto di Maramureș estrae dal tesoro custodito nel suo patrimonio oggetti di grande valore e bellezza e li presenta in modo non convenzionale, con un impatto visivo di effetto. Elementi di costumi popolari della tradizione romena, principalmente camicette femminili provenienti dalle quattro aree etnografiche di Maramureș, illustreranno la finezza dell’arte tradizionale e la valorizzazione degli antichi saperi. La bellezza delle camicie sarà esaltata da immagini suggestive che rappresentano istantanee della vita del villaggio, oltre ai volti di coloro che portano il loro messaggio attraverso il tempo. Le immagini sono state colte dai fotografi Mariana Scubli, Gabriel Motica, Vlad Dumitrescu, Dan Griga, Vasile Chira e Marius Ionuțaș, nelle peregrinazioni attraverso l’intera zona di Maramureș, a loro tanto cara. Sui volti delle donne, dei giovani o degli anziani, troviamo impresse le tracce della nostra identità, tutto ciò che di più prezioso e sacro abbiamo, come popolo”.
“Il distretto di Maramureș comprende quattro aree etnografiche, dette anche “paesi”: Țara Maramureșului, Țara Lăpușului, Țara Chioarului e parte di Țara Codrului. Ci sono molti criteri di riconoscimento, ma a prima vista si capisce da quale “paese”, ovvero area etnografica, provengono le persone grazie agli abiti che indossano con orgoglio.
Țara Maramureșului – Voivodato di Maramureș si distingue per le camicette femminili con scollature quadrate intorno al collo, caratterizzate da una decorazione sofisticata e da volant di pizzo lavorati all’uncinetto. Mentre alcune parti dell’abito popolare sono state modificate in base alla moda, una cosa è rimasta invariata rispetto a centinaia di anni fa, la bisaccia.
Țara Lăpușului è definita dalla camicia con “chept” (petto della camicia con ricamo a fiori), che sembra essere scesa dalla Colonna Traiana, un capo di abbigliamento conservato in queste zone e sui Monti Apuseni. La camicia da uomo, pur sembrando semplice a prima vista, è di un’eleganza particolare proprio per le discrete rifiniture del colletto e del polsino che conferiscono, a chi la indossa, particolare finezza.
Il costume popolare che si trova in Țara Chioarului si colloca al primo posto in termini di eleganza. Molteplici motivi, collocati in punti chiave della camicia, realizzati nelle più complesse tecniche di ricamo eseguite esclusivamente con cotone bianco, conferiscono a questa una particolare raffinatezza.
Țara Codrului ci presenta una speciale camicetta da donna. Quelle più antiche hanno decorazioni intricate realizzate in cotone rosso e nero, esclusivamente con motivi geometrici. Invece, la camicia con carré viene adottata dagli abitanti della Terra di Oaș, insieme alla novità dell’ornamento della manica dalle numerose increspature”.
“La camicia da uomo, più conservatrice, rimane bianca, con decorazioni bianche e solo piccoli punti di colore sul colletto risvoltato, che compaiono dopo la metà del Novecento.
Chi conosce già i villaggi nella zona di Maramureș sarà felice di ritrovarli. Invece chi non li conosce, sarà lieto di scoprirle e, osiamo credere, di meravigliarsi della semplicità, che caratterizza questi luoghi affascinanti”.
(Foto di Carlo Alberto Alessi)
Organizzatori: Ambasciata di Romania nella Repubblica Italiana, Consiglio distrettuale di Maramureș: Museo di Etnografia e Arte Popolare del distretto di Maramureș, Centro distrettuale per la Conservazione e la Promozione della Cultura Tradizionale “Liviu Borlan” di Maramureș, Consolato Generale di Romania a Torino, Consolato Onorario di Romania a Genova, Accademia di Romania in Roma, Comune di Genova, Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo di Genova, Musei di Genova.
Durata della mostra: 5 ottobre- 5 novembre 2023
Orari: martedì-venerdì dalle 10.00 alle 17.00;
sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00 – lunedì chiuso
Ingresso: intero 6 euro, ridotto 4,50 euro, gratuito: bambini sotto i 5 anni.
Sui rapporti tra Liguria e Romania vedi anche qui
e qui