Antonio Funiciello è stato capo dello staff dei presidenti del consiglio dei ministri Mario Draghi e Paolo Gentiloni dopo avere lavorato “nelle cucine della politica” nei dieci anni precedenti. Per scrivere “Il metodo Machiavelli-Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima” (Rizzoli) ha avuto colloqui con Giuliano Amato, Luigi Zanda, Gianni Letta, Arturo Parisi e Claudio Velardi. Il libro è quindi frutto di riflessioni su esperienze personali e di altri professionisti della politica. E utilizza la griglia interpretativa di un altro professionista della politica, un uomo d’azione che è stato anche un teorico, di altissimo livello, Niccolò Machiavelli. Dalle pagine del segretario fiorentino, spiega Funiciello, si può dedurre una sorta di metodo generale del bravo e leale consigliere politico.
Il libro è articolato in sei capitoli: il primo è dedicato a uno staff che ha cambiato la storia del mondo, quello dei dodici apostoli di Gesù. Il secondo racconta la vita di Machiavelli come consigliere politico, il terzo mette a fuoco le regole del perfetto consigliere, con aneddoti ricavati dalla propria esperienza e da quella di altri consiglieri, il quarto è dedicato a quello che Funiciello considera “il più abile braccio destro di sempre”, Louis McHenry Howe, alter ego di Franklin Delano Roosevelt. Nel quinto capitolo viene analizzata “la malattia mortale della leadership”: l’adulazione. Il sesto è dedicato al rapporto tra potere e verità. È il capitolo conclusivo, che porta a compimento le riflessioni sviluppate negli altri capitoli. Il leader è tale perché sbaglia meno degli altri ma anche lui sbaglia. E anche al leader, come a tutti, non piace sentirselo dire. Che cosa deve fare il consigliere quando ritiene che il suo capo stia sbagliando? Questo è il tema cruciale per chi sta nell’anticamera della stanza dei bottoni e per chi nella stanza dei bottoni comanda, decide quali bottoni premere e quando. Dovere del consigliere è esercitare la libertà di critica, d’altra parte la statura di un leader si misura anche dalla sua capacità di convivere con le critiche che gli vengono rivolte. Il consigliere che sceglie di opporsi al suo capo corre il rischio di perdere il posto – ai giorni nostri e in uno stato di diritto, un tempo e ancora oggi in certi paesi rischiava e rischia la vita – ma compie il suo dovere, e si salva l’anima, il capo che non accetta le critiche finisce per circondarsi di adulatori e perde contatto con la realtà.
Il tema è cruciale non solo nell’ambito analizzato da Funiciello ma ovunque venga esercitato il potere, ovunque esista una gerarchia, nei partiti e nelle istituzioni ma anche nelle organizzazioni aziendali, nei rapporti tra aziende e consulenti, negli organismi militari. In paesi dominati da un dittatore, come Stalin e altri, spesso i servizi di intelligence hanno tutto quello che occorre per svolgere uno dei loro compiti fondamentali, cioè informare i vertici su come si stanno evolvendo determinate questioni: dispongono di personale qualificato e di ingenti risorse finanziarie, non sono inceppati da vincoli di carattere morale, etico, giuridico. Però se informando il capo non confermano le sue congetture, le sue aspettative, i suoi giudizi rischiano di cadere in disgrazia. Diventa così improbabile che il capo riceva rappresentazioni corrette della realtà in base alle quali decidere nel modo migliore.
“Il mestiere del consigliere politico – conclude Funiciello – ha a che fare, insomma, con la verità e il coraggio. Con la verità, perché soltanto essa è utile al tuo leader e non potrai tradire in modo peggiore la lealtà che gli devi, se non negandogliela. Con il coraggio, perché sebbene si racconti che la verità alla fine trionfi, questa non è una verità. La storia è piena di consiglieri finiti in disgrazia”.