«È difficile far percepire alle persone che il miglioramento raggiunto nell’attività di tracciamento è diventato, per noi, un’arma a doppio taglio: da un lato, un tracciamento efficace significa limitare il diffondersi del contagio, ma dall’altro significa anche fermare il nostro stesso personale positivo al Covid – anche se asintomatico – e metterlo in quarantena. Questo ci obbliga a rimpinguare le risorse umane, prendendole in prestito da altri reparti, oppure assumendo nuovo personale in urgenza tramite bandi. E anche questo a volte è un problema».

A sottolineare le difficoltà che sta vivendo in queste settimane il personale ospedaliero, già più volte evidenziate anche dai sindacati, è Antonio Uccelli, direttore scientifico dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino, nel corso della conferenza online “Covid 19 in Liguria”, organizzata nell’ambito del Festival della Scienza di Genova. «Fatichiamo a trovare tecnici che facciano tamponi – dice Uccelli – quelli che potevamo arruolare li abbiamo arruolati, difficile trovarne altri. Sfortunatamente si ammalano anche le persone dell’amministrazione, di conseguenza non abbiamo il personale che possa redigere i bandi di concorso che ci darebbero la possibilità di assumere nuovi infermieri. D’altra parte dobbiamo seguire le norme di legge e per assumere dobbiamo fare concorsi. In questi giorni ne abbiamo aperto uno per 502 infermieri e l’abbiamo fatto con tre quarti dell’ufficio personale Covid positivo. È difficile fare percepire questa situazione al cittadino».
Personale ridotto all’osso e, di conseguenza, ospedali e pronto soccorso che faticano: «Anche perché almeno il 30% degli accessi al pronto soccorso potrebbe essere gestito a domicilio – sostiene Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del San Martino – Correre al pronto soccorso in questo momento non solo fa male a se stessi, ma fa male anche al prossimo: il pronto soccorso non può sostituire la medicina territoriale, ma in molti casi invece succede proprio questo, il ps sostituisce il medico di base, ed è una delle ragioni per cui siamo in difficoltà».
«Il percorso al pronto soccorso richiede molto tempo – sottolinea Bassetti – tempo per essere visitati, per fare la cartella, per convincere la persona a essere dimessa e magari convincere anche i suoi accompagnatori». È evidente che in questo momento prevale il sentimento di paura: «Ma le persone non si rendono conto che in realtà nella maggior parte di casi il Covid-19 si manifesta in modo asintomatico – ricorda Bassetti – Oggi il primo obiettivo è fermare, o quanto meno rallentare, il contagio. Dobbiamo seguire delle regole, ma non tutti lo stiamo facendo».
Dal lato sanitario, rispetto a marzo-aprile, la situazione è molto cambiata: «Con la prima ondata ci è mancato soprattutto il tempo – ricorda Uccelli – è stato un continuo rincorrere una serie di eventi che non conoscevamo, soprattutto ci siamo dovuti confrontare su infezioni a noi sconosciute. Altro problema, la separazione dell’ospedale in aree cosiddette “pulite” e “sporche” creando percorsi ad hoc e separati per pazienti Covid. Difficile, ma lo abbiamo fatto: abbiamo trasformato intere porzioni dell’ospedale in strutture, come cardiologie e neurologie, che abbandonavano la loro fisiologica specificità per affrontare questo nuovo problema. Abbiamo ricreato veri e propri reparti, come il Maragliano e il padiglione 12, adattando sia le strutture sia il personale. Avevamo anche la necessità di acquistare respiratori e dpi, che subito non si trovavano. Ora le nostre strutture sono più pronte, noi stessi abbiamo imparato a riconoscere meglio il malato, a gestirlo e a tenerlo separato dagli altri. Se riusciamo a “filtrare” questo virus, evitando che travolga noi e il sistema sanitario, possiamo gestirlo e spesso con successo, garantendo la salute di tutte le persone che vengono infettate».