A proposito di mascherine, per la serie: a volte ritornano.
Adesso che, con colpevole ritardo, finalmente, grazie anche alle aziende che hanno iniziato a produrle in Italia, le mascherine ci sono, il loro consumo diminuisce: in Liguria, le portano in pochi (non sono più obbligatorie per la strada). E nonostante il prezzo massimo fissato per legge (0,50) si cominciano a vedere in giro, nei supermercati, mascherine a prezzo ancora più basso (vedi #MD a 0,40 ), ma non sono italiane. Cosa sta succedendo?
Risposta: semplicemente quello che era ampiamente previsto, ovvero che finite l’emergenza e la speculazione Cinesi & Company stanno tornando sul mercato italiano e, come sempre, sono molto più competitivi sul prezzo, con buona pace di quegli imprenditori italiani che erano stati convinti da Arcuri, con incentivi, a investire sulle mascherine (clicca qui per consultare l’elenco delle imprese finanziate). Altro che ricostruire la filiera italiana, i nostri saranno espulsi di nuovo dal mercato e i soldi spesi per gli incentivi andranno sprecati.
Che fare, dunque? Riflettiamo sul processo che ci ha portato in questa situazione. Perché la produzione di mascherine se n’era andata dal nostro Paese? Perché era stata smantellata l’intera filiera produttiva e trasferita in Cina? Probabilmente perché il prezzo proposto dalle aziende cinesi, grazie soprattutto al loro costo del lavoro, è nettamente inferiore a quello praticabile da noi. Come tutto ciò che è riproducibile facilmente da chiunque e a basso costo, a un certo punto le abbiamo lasciate ai cinesi. Il loro costo non ne giustificava la produzione nazionale. Nessuno aveva pensato che un presidio sanitario così insignificante sarebbe potuto diventare fondamentale, prima o poi, non solo per noi ma per il mondo intero e che la globalizzazione, ogni tanto, presenta i suoi conti.
Lo tsunami del Coronavirus ci ha fatto riflettere sul fatto che l’italianità di alcune produzioni o prodotti ritenuti strategici – le mascherine sono solo la punta di un iceberg – sia da perseguire. Ma è inutile puntare sulla necessità di “comprare italiano”. L’esperienza ci dice che le scelte emotive derivate da contesti eccezionali hanno sempre una scadenza derivata dal rientro nella quotidianità. Vale per le mascherine ma vale anche per tutto il resto.
La differenza tra mascherine cinesi e nostrane sarà sempre determinata dal costo del lavoro. Difficilmente dalla qualità del prodotto. Solo una politica di dazi, da concordare con l’Ue, potrebbe mantenere in vita la filiera italiana delle mascherine e di altri prodotti che consideriamo “strategici”.