Probabilmente è ancora presto per una stima sui danni che l’epidemia di coronavirus Covid-19 sta causando all’economia globale e a quella italiana, ma è quasi certo che il fenomeno avrà enormi ripercussioni. Il termometro migliore per misurarne l’impatto è l’andamento del commercio internazionale che per il 90% avviene via mare.
Questo è ancora più vero dal momento che il primo paese a essere colpito da questo flagello è la Cina, la principale potenza marittima di questo secolo. L’isolamento di un’ampia zona del territorio cinese intorno alla città industriale di Wuhan avrà certamente ripercussioni sulla capacità produttiva del colosso asiatico, e di conseguenza sull’intera supply chain globale.
L’andamento del volume dei traffici marittimi è da sempre un indicatore della salute dell’economia mondiale. Tendenzialmente, il commercio via nave tende a seguire in maniera più che proporzionale l’andamento del pil mondiale, crescendo fortemente in momenti di espansione economica e contraendosi in maniera più evidente in periodi di recessione. Il trend, comunque, si è sempre mantenuto positivo dal 2010, segnando un decennio di crescita ininterrotta del commercio marittimo, seppure con un rallentamento avvenuto tra il 2018 e il 2019 sulla scia della guerra commerciale tra Usa e Cina e timori legati alle incertezze di Brexit.
Tuttavia, nonostante la crescita dei traffici, il settore presenta, rispetto alla domanda, una cronica sovracapacità le cui radici si trovano nella recessione globale del 2007-2008. Durante l’ultimo decennio le dimensioni della flotta globale sono aumentate più che proporzionalmente rispetto alla richiesta di trasporto, comprimendo il mercato dei noli marittimi e riducendo il margine di profitto delle compagnie di navigazione. Questa tendenza è proseguita con costanza anche nel 2018-2019 dove, per esempio, a fronte di un aumento della domanda di trasporto di container del 2,6%, la flotta ha ampliato le sue capacità quasi del 6%, ovvero più del doppio.
Ciò che ha preservato un seppur fragile equilibrio nel settore sono stati da un lato il trend di rinnovamento delle flotte e dall’altro le alleanze tra i vari big player del settore.
Se, nel corso del 2020, l’economia cinese e mondiale dovesse accusare una riduzione delle aspettative di crescita, oppure una vera e propria contrazione, la situazione per molti operatori potrebbe farsi insostenibile. Questo potrebbe essere ancora più devastante per il settore del trasporto di idrocarburi. In queste settimane il crollo delle quotazioni del Brent e del Wti (nonostante l’Opec abbia varato un piano di riduzione della produzione di greggio) è stato causato dalla minore domanda da parte del colosso cinese, il più grande divoratore di petrolio a livello globale. Eni, il principale produttore di idrocarburi italiano, ha accusato in due settimane una flessione delle quotazioni di quasi 15 punti percentuali, rispecchiando minori margini di profitto potenziali. D’Amico Shipping, proprietaria della maggiore flotta di petroliere italiana, ha accusato un crollo in borsa del 23% nel medesimo periodo.
Il rischio di replicare la situazione del 2008 è drammaticamente attuale, con gli armatori obbligati a operare in perdita con le proprie navi.
Da un lato, le compagnie di navigazione sono costrette a cancellare i viaggi da e per la Cina per il blocco delle attività produttive, dall’altro vi è l’impossibilità di caricare le merci sulle navi a causa dall’assenza di operatori logistici. A oggi, il numero di navi “in ballast”, ovvero senza carico e senza destinazione, presenti nel Mar Cinese, è drammaticamente elevato, cresciuto esponenzialmente con l’evolversi della crisi sanitaria.
In questo scenario, il contraccolpo sul sistema portuale italiano rischia di essere tutt’altro che limitato. Il porto di Genova, che è riuscito a stento a conservare un trend positivo nei traffici nonostante i fatti collegati al viadotto Polcevera, vede giungere dalla Cina il 15% delle merci movimentate complessive, percentuale che sale al 25% per il solo settore container.
Lo scorso decennio, lo scalo marittimo genovese ha osservato un aumento dei traffici marittimi, passando dai 65 milioni di tonnellate di merci movimentate nel 2011 alle 69,8 del 2019, con un aumento medio dell’1,7% annuo.
Definire uno scenario certo sull’anno in corso è prematuro, essendo la situazione in costante evoluzione.
Vista la già citata correlazione tra l’andamento generale dell’economia e l’andamento dei traffici marittimi, è possibile tentare di fare una previsione basandosi sulle statistiche del prodotto interno lordo. Le aspettative di crescita per il 2020 (+0,5% stimato dalla Banca Mondiale) sono oramai un miraggio, e vi sono già istituzioni pronte a scommettere in una contrazione del pil italiano tra l’1% e il 3% nel corso dell’anno.
Considerando il decennio passato, si può calcolare una correlazione tra le due variabili di 0.62 (tabella a sinistra)

Sebbene questo rapporto non sia eccessivamente elevato (il porto di Genova non è al servizio della sola economia nazionale), rende comunque possibile cercare di prevedere quale potrebbe essere l’evoluzione delle movimentazioni portuali nel 2020, considerando una contrazione del pil attesa del 2% (valore medio tra -1% e -3%). Utilizzando il metodo della regressione lineare, in tale scenario, si prevede una contrazione del traffico movimentato nel porto di Genova del 3% circa (tabella a destra), con l’interruzione di una serie positiva dal 2016.
In questo calcolo non si tiene tuttavia conto di alcune variabili. Non si tiene conto della possibilità che i volumi di merci provenienti dalla Cina si riducano più che proporzionalmente, e che nel contempo possa ridursi l’export di prodotti italiani verso gli altri Paesi (per effetto di “scetticismo” nei confronti delle nostre merci). Insomma, lo scenario che si troverà ad affrontare il porto è del tutto inedito, difficilmente prevedibile ma che rischia di minare seriamente una economia con prospettive di crescita non propriamente incoraggianti.
(Davide Siviero e Andrea Vella)