Fincantieri cerca 6.000 lavoratori per costruire le navi dei prossimi anni e non li trova, Fiom Cgil avanza una proposta che non convince l’azienda.
Alcuni giorni fa l’ad del gruppo navalmeccanico, Giuseppe Bono, nel corso del suo intervento alla conferenza organizzativa della Cisl a Roma, aveva lanciato l’allarme: «nei prossimi 2-3 anni avremo bisogno di 5-6 mila lavoratori ma non so dove andarli a trovare. Si tratta di carpentieri, saldatori. Abbiamo lavoro per 10 anni, cresciamo ad un ritmo del 10%, ma sembra che i giovani abbiano perso la voglia di lavorare. Sento parlare tanto di lavoro, crescita, infrastrutture, porti, autostrade ed aeroporti. Ma penso che tra un po’ di tempo avremo più università che laureati, più porti che navi, più aeroporti che passeggeri. Questi sono gli sprechi del Paese, vogliamo tutto ma vogliamo che lo facciano gli altri».
Bono aveva poi sottolineato il fatto che un rider guadagna 500-600 euro mentre in Fincantieri «un lavoratore medio prende 1.600 euro al mese. Allora se uno volesse guardare al futuro non si accontenterebbe di fare il rider, anche perché non è che fare il rider è meno faticoso di fare il saldatore. Purtroppo abbiamo cambiato cultura».
A Bono ha risposto, in una nota stampa, Roberto D’ Andrea, coordinatore nazionale Fincantieri per la Fiom-Cgil nazionale. «In questi anni, grazie anche al rilancio produttivo dell’ azienda – ha spiegato D’Andrea – si sono formati migliaia di lavoratori che operano in appalto e in subappalto per Fincantieri, spesso con condizioni nettamente inferiori ai 1600 euro promessi dall’ amministratore delegato Giuseppe Bono. Per rispondere alla richiesta di personale comunicata oggi dall’ ad Bono si può attingere, in primo luogo, a questo enorme bacino già professionalizzato“.
Secondo D’ Andrea, che chiede di aprire confronto sull’argomento, «i lavoratori degli appalti e dei subappalti sono sicuramente pronti a passare alle dirette dipendenze di Fincantieri e soddisfare l’ esigenza di manodopera».
L’azienda non ha apprezzato la proposta di D’Andrea e oggi, attraverso un comunicato, così replica:
«Una volta di più prendiamo atto di effimere prese di posizioni ideologiche di chi evidentemente è ben distante dal conoscere il sistema produttivo Fincantieri e, con molta probabilità, il mercato del lavoro in generale».
«Il grido di allarme lanciato da tempo dalla nostra società riguarda la difficoltà di potenziare e incrementare tutta la filiera produttiva necessaria per sviluppare l’importante carico di lavoro acquisito, con l’inserimento di figure professionali (solo a titolo di esempio: saldatori, carpentieri, tubisti, elettricisti, coibentatori, verniciatori) che oggi purtroppo non sono più attrattive per i giovani. Fincantieri ha assunto direttamente dal 2016 a oggi oltre 1.500 persone e altrettante ne assumerà nei prossimi anni, ma si trova nella situazione paradossale di non riuscire ad accompagnare la sua crescita per mancanza di professionalità».
«La geniale ricetta industriale della Fiom di assumere in Fincantieri i lavoratori dell’indotto fa sorgere spontanea una domanda: dove si trovano le risorse in più che servono per costruire le navi? La soluzione è quella di depauperare l’indotto che ha costituito e costituisce una componente essenziale per la crescita dell’azienda»?
«D’Andrea e la Fiom – conclude il comunicato dell’azienda – invece di dedicarsi a dichiarazioni disancorate dalla realtà produttiva, dovrebbero preoccuparsi di collaborare in maniera attiva per recuperare nel nostro Paese una reale cultura del lavoro, ma forse questo è chiedere troppo a un’organizzazione che negli ultimi anni ha perso in Fincantieri più del 10% degli iscritti, rappresentando solo il 15% dei dipendenti, e che, senza portare valore aggiunto in termini di concretezza e propositività, si è distanziata sempre più dai lavoratori».
Sulla discussione, e in particolare sulla cultura del lavoro, interviene oggi anche la Cgil ligure con una nota sottoscritta da Federico Vesigna, segretario generale Cgil Liguria, Claudio Croci, segretario Generale Flc Cgil Liguria, chiamando in causa la Regione.
«La partita, strategica per un territorio che ospita tre cantieri e una sede – si legge nella nota – va giocata sui tavoli giusti. Crediamo fondamentale ragionare di rapporto tra formazione e lavoro, più che di giovani svogliati. Non è la prima volta che sollecitiamo Regione Liguria ad operare concretamente, attraverso gli strumenti già oggi a sua disposizione, per realizzare quell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, un lavoro non povero, ma stabile e qualificato. E lo vogliamo fare ancora una volta, perché se l’amministratore delegato di Fincantieri ha ragione allora vuol dire che la Regione non ha saputo costruire quella rete di relazioni che serve a formare per tempo, e non in logica emergenziale, nuovi lavoratori. E’ il momento di riparlare di ITS, di poli tecnico-professionali, di una reale sinergia tra istruzione tecnica e professionale e formazione professionale. Di mettere in campo, in una parola, una vera politica regionale sull’istruzione e la formazione e il loro rapporto con il mondo del lavoro. La nostra organizzazione, ai livelli confederali e di categoria regionali, è pronta al confronto. È ora di recuperare il tempo perso».