Una riflessione a livello nazionale con la consapevolezza di non perdere di vista l’obiettivo di ridurre i rifiuti e aumentare la differenziata per rendere autosufficiente la comunità genovese sotto il profilo industriale. Questo l’obiettivo alla base del convegno “Rifiuti zero = Cento impianti di trattamento“, organizzato da Amiu Genova a Palazzo della Meridiana.
Quello che è emerso è una situazione caratterizzata da una carenza normativa che favorisce le interpretazioni e quindi l’intervento della magistratura, ma anche una pesante carenza di impianti di trattamento e di recupero, senza dimenticare che, anche se si raggiungesse l’obiettivo di avviare a riciclo il 65% dei rifuti (ben diverso dalla cifra del 65% di raccolta differenziata), almeno un 10% residuo dovrà essere avviato a discarica, mentre il resto potrebbe essere trasformato in energia grazie alla termovalorizzazione. Servono quindi anche impianti di smaltimento finale, un problema che riguarda non solo Genova.
Il presidente di Amiu Ivan Strozzi intanto anticipa che entro tre-quattro settimane si avranno tutte le informazioni sull’impianto di trattamento meccanico-biologico che sorgerà a Scarpino, ma ribadisce che occorre un’ulteriore spinta sulla raccolta differenziata: «Non abbiamo avuto l’aumento che ci attendevamo. Nel secondo semestre ci dedicheremo alla raccolta della frazione organica in mense e ristoranti e amplieremo la raccolta ad Albaro, coinvolgendo i 30-40 mila abitanti». La volumetria attuale dei cassonetti, puntualizza il presidente di Amiu, consentirebbe comunque già ora di raggiungere il 65% di raccolta differenziata.
L’altro problema appunto è la carenza definita «strabordante» dallo stesso Strozzi, di impianti: «Il Dpcm del 10 agosto 2016, che avrebbe dovuto completare l’articolo 35 dello Sblocca Italia, è stato editato il 5 ottobre 2016, ma è zeppo di errori. Nonostante ciò è stato legge per tre anni. Ora speriamo nel tamponamento di questa carenza».
Strozzi contesta anche le eccessive discussioni sulle tecnologie, figli di posizioni ideologiche: «Tre anni di discussione sulla scelta dell’impianto a digestione anaerobica o aerobica a Roma, significano tre anni di nulla, alimentando non l’economia circolare, ma l’economia che fa circolare il rifiuto sul camion. A tutto questo aggiungiamo una burocrazia asfissiante: la tutela dell’ambiente è paralizzata da desiderio compulsivo e feroce di normare e punire».
Parlare con il territorio va bene, secondo Strozzi, ma se diventa impossibile anche solo fare un’isola ecologica, che viene spesso chiamata discarica, è evidente che c’è un problema.
Intanto Amiu prosegue il proprio consolidamento, come ha ricordato l’assessore comunale all’Ambiente Matteo Campora: «Il fatto che abbia vinto una gara nel Comune di Recco in ati con altra società dà la sicurezza anche a noi che l’azienda cerca di rafforzarsi. Quello che dobbiamo fare, essendo in una regione piccola e con una conformazione particolare, è collaborare con le altre istituzioni e guardare fuori dalla Liguria per capire quali possano essere le migliori pratiche da applicare da noi, tenendo conto della crisi logistica sopraggiunta dopo il crollo del ponte Morandi».
Al momento Amiu possiede impianti per la separazione della carta e della plastica, oltre a quello di “internamento controllato”, ossia Scarpino 3. Una riapertura «unica in Italia», sottolinea Strozzi.
I rifiuti portati in discarica sono molti meno, ma non saranno mai a quota zero, come evidenzia Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, l’associazione di imprese operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, rappresentandole nelle istituzioni nazionali ed europee: «Le norme europee prevedono un tasso di riciclo al 65%, un 15% a recupero energetico e un 10% in discarica». Una direttiva europea in corso di recepimento ridisegnerà il settore del trattamento dei rifiuti e la produzione degli imballaggi per arrivare a una riduzione dei rifiuti e a una maggiore facilità di recupero. Per arrivare a un riciclo del 65% la differenziata deve raggiungere come minimo l’80%.
I pilastri dell’economia circolare:
Ecodesign, extended producer responsibility (cioè legare il produttore al fine vita del prodotto o comunque aggiungere tutti i costi ambientali associati a un prodotto), end of waste (processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto).
Tuttavia, una sentenza del Consiglio di Stato risalente a più di un anno fa, ha fermato i processi di classificazione “end of waste” (vedi box) nel nostro Paese. «Non siamo riusciti – dice Brandolini – ad avere una nuova norma che che faccia riprendere questo tipo di attività. Ci sono decine di progetti in attesa. A quanto ci pare l’emendamento inserito nel decreto “Sblocca cantieri” acuisce il problema, non lo risolve».
I vantaggi degli impianti di compostaggio a digestione anaerobica
Il trattamento dell’organico è uno dei temi in primo piano: a livello nazionale il fabbisogno stimato è di 2 milioni di tonnellate, equivalenti a una necessità di 20 o 40 impianti a seconda della taglia. In Liguria ce n’è solo uno che “lavora” 30 mila tonnellate, un’inezia. «Attualmente, oltre deficit impiantistico, c’è il problema di una distribuzione non equilibrata – evidenzia Brandolini – la Liguria è praticamente scoperta e anche il Centro Sud». I vantaggi di un impianto a digestione anaerobica di ultima generazione è che la frazione organica può diventare o compost o biometano: «Diventa strategico sfruttare al massimo anche il potenziale energetico – dice il presidente di Utilitalia – l’impianto di compostaggio anerobico è un impianto energivoro, al contrario di quello aerobico, che produce energia rinnovabile». «Non più di un mese fa – aggiunge Marco Steardo, vicepresidente di Fise Assoambiente, l’equivalente di Utilitalia ma per i privati – l’Unione Europea ha varato un regolamento che cambierà ancora lo scenario. Si normano le caratteristiche dei fertilizzanti ottenibili con la frazione organica. Con questi impianti si otterrà quindi un doppio vantaggio».
Discariche e termovalorizzatori
Utilitalia ritiene che non si può più concepire il trattamento dei rifiuti su bacini territoriali limitati. «Per Genova serve un progetto dedicato, con un rapporto costi benefici ad hoc, vista la conformazione particolare della città».
Occorre però sgomberare il campo da alcune convinzioni: riciclo e compostaggio non sono alternativi al recupero energetico, ma riducono tutti lo smaltimento in discarica. «Gli impianti di termovalorizzazione non sono in concorrenza con il riciclo».
Spesso si sottovaluta che proprio il riciclo comporta residui che devono essere trattati.
L’Italia è terza dopo Germania e Francia per quanto riguarda i rifiuti portati a riciclo in valori assoluti, per esempio è grande importatrice di metalli per questo scopo.
Il problema è ancora l’eccessivo smaltimento in discarica: oltre 10 milioni di tonnellate nel 2013, poco sotto gli 8 milioni nel 2016. Senza contare i 10 e 11 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Per risolvere il problema, oltre ad aumentare la raccolta differenziata, non si può prescindere dalla termovalorizzazione, che significa la trasformazione del rifiuto in energia. La proiezione di Utilitalia al 2024 con una raccolta differenziata nel Paese al 67% e due scenari sugli scarti della raccolta differenziata (10 o 20%), vede un fabbisogno che va da 2,5 a 4,5 milioni di tonnellate con bisogno di incenerimento. Senza impianti diventa impensabile raggiungere la quota richiesta di mettere in discarica solo il 10% dei rifiuti.
La plastica
«Oggi la plastica da riciclo deve poter competere con le plastiche vergini – evidenzia Brandolini – nel 2017-2018 la plastica da riciclo ha avuto costi che si avvicinano alle plastiche vergini. Rischiano di non essere competitive. Il cambio di paradigma deve fare in modo che ci sia un sistema che garantisca che riciclo o differenziata non siano frenati da normative che limitano il mercato. Un vero e proprio mercato del riciclo va costruito se vogliamo concretizzare la prospettiva dell’economia circolare».
Il rifiuto: un’opportunità industriale
Il rifiuto non deve essere più considerato né un problema ambientale né giudiziario. Pur producendone una quantità inferiore rispetto a gran parte d’Europa, oggi i rifiuti urbani prodotti in Italia ammontano a 30 milioni di tonnellate, ma si sottovaluta il “grosso”: ossia le 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. «Recuperiamo ancora poca energia – ribadisce Steardo – esportiamo rifiuti combustibili. Sappiamo che gli inceneritori non piacciono a nessuno, ma sono macchine sofisticate da gestire bene, di conseguenza le emissioni non sono significative. Oggi ci restano poche discariche soprattutto per i rifiuti speciali, infatti li esportiamo, specie quelli pericolosi, ma oggi, anche se è necessario, non è più conveniente esportare».