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Accordo Ilva: punti da chiarire, rispondono i sindacalisti

Accordo Ilva: punti da chiarire, rispondono i sindacalisti

ilva

L’accordo sull’Ilva è stato approvato a larghissima maggioranza dai lavoratori del gruppo e ha fatto tirare un sospiro di sollievo a chi non riteneva vantaggiosa l’idea di sostituire lo stabilimento di Taranto con parco-giochi, acquaplan, musei, o amenità del genere, e temeva la perdita per l’Italia di un comparto che occupa migliaia di persone. L’accordo, per i lavoratori probabilmente il migliore possibile nelle circostanza date, secondo Giulio Dapelo, titolare dello Studio Dapelo di Genova, specializzato in consulenza del lavoro, lascia però alcuni punti da chiarire e su cui riflettere. E su questi punti i protagonisti genovesi della lunga trattativa, Bruno Manganaro, segretario generale della Fiom Cgil Genova, Antonio Apa, segretario generale della Uilm Genova e Alessandro Vella, segretario generale regionale della Fim Cisl si sono confrontati con il professionista nella redazione di Liguria Business Journal.

Da sinistra: Giulio Dapelo, Odoardo Scaletti, direttore di Liguria Business Journal, Alessandro Vella, Bruno Manganaro, Antonio Apa

La discussione è iniziata su un aspetto legale del contratto da verificare. «La prima cosa che mi è caduta all’occhio – ha detto il consulente – è che il contratto di affitto con impegno all’acquisto è stato sottoscritto da Am Investco Italy srl, una srl partecipata dai colossi e dalla Marcegaglia, che finalmente riuscirà a monetizzare e ad andarsene. Siamo di fronte a una srl partecipata da società, non da persone fisiche, che ha un capitale sociale di 10 mila euro. E la responsabilità delle srl è limitata al capitale, sono responsabili gli amministratori. Se ritenete questo argomento meritevole di un approfondimento, bene. Per me questo merita un approfondimento. Che non significa dare un giudizio, significa studiare, verificare con calma».

Vella: «Studiamo, verifichiamo, d’accordo. In linea generale, comunque, penso che esistono società che hanno un capitale sociale minimale e fanno ottime cose e società con un grosso capitale sociale che falliscono. Secondo me non è questo il cuore pulsante dell’accordo, perché l’accordo dice che la società deve fare una serie di investimenti per diverse centinaia di milioni».

Dapelo: «E se non li facesse?».

Vella: «Intanto il contratto è un contratto di affitto, ufficialmente la proprietà non è ancora di Am, c’è una serie di obblighi contrattuali e c’è il governo garante. L’assegnazione è stata data dal governo precedente e confermata da questo».

Dapelo: «Ma il governo non ha firmato. Nella bozza di qualche ora prima – qualche ora, non qualche giorno – del 5 settembre, erano presenti come firmatari anche il ministero del Lavoro e la Società per Cornigliano, ma alla fine il ministero non ha sottoscritto».

Manganaro: «Il governo ha detto: “non firmo perché sono super partes”, quando noi eravamo tutti convinti che avrebbe firmato. Di Maio, secondo la lettura che ho dato io della vicenda, non ha voluto firmare per problemi politici, per potersi presentare ai suoi elettori e dire: è un rapporto tra le parti».

Dapelo: «Di Maio non voleva assumersi responsabilità e aveva il problema di chiudere, a lui interessava questo. A un certo punto l’importante per lui, sotto il profilo mediatico e dell’immagine, era di non passare per colpevole di un mancato accordo. Allora il ministro si è detto: “accontento i sindacati il più possibile”. Voi avete fatto un ottimo lavoro e Di Maio è stato costretto a firmare. Ma secondo me questo accordo è impugnabile per diversi motivi, anche sotto il profilo dell’applicazione dell’art 18, e al massimo Mittal potrebbe dover rispondere di condotta antisindacale, non di più. L’accordo va letto in rapporto all’allegato 3 e alla lettera d’assunzione. Vediamo scritto: “Ai dipendenti assunti dalle società Ilva, prima del 7 marzo 2015 si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti applicabili a tali lavoratori alla data di cessazione dei rapporti di lavoro con le società Ilva”. E questo può essere interpretato in tutti i modi, tanto più che i lavoratori accettano e riconoscono che il rapporto stipulato con la newco è nuovo, è stipulato ex novo. Nella lettera di assunzione, cosa molto pericolosa secondo me, non si fa un espresso riferimento all’applicazione dell’art. 18 pre Jobs act. Non si fa. Inoltre, siccome non si può applicare l’articolo 2.112 del trasferimento di azienda, perché rientriamo nei requisiti di amministrazione straordinaria, è lasciato tutto un terreno aperto su mansioni, qualifica, perché non c’è nessuna garanzia che ai lavoratori siano riconosciuti gli stessi livelli, le stesse qualifiche, eccetera».

Apa: «Non è così».

Dapelo: «Non l’ho letto in nessuna pagina del verbale, tanto meno nell’allegato 1, che è la proposta di assunzione. Ciò potrebbe essere un aspetto da approfondire e da chiarire, tenuto conto che ai lavoratori non possono neppure essere riconosciute le garanzie di cui all’articolo 2112 poiché l’Ilva e stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Identiche perplessità rispetto al riconoscimento, ai nuovi assunti, dell’art.18 dello Statuto: nella proposta di assunzione non è prevista alcuna chiara ed esplicita ammissione. Così come, al paragrafo B punto 2 del verbale, è scritto: “ai dipendenti assunti dalle società Ilva prima del 7 marzo 2015 si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti applicabile a tali lavoratori alla data di cessazione del rapporto di lavoro con le società Ilva”. Frase ben poca chiara e parecchio interpretabile: sarebbe stato più che sufficiente scrivere, con semplicità, che ai nuovi assunti da Am è riconosciuta la tutela di cui all’art 18 dello Statuto, nella sua formulazione precedente alla modifica appartata dal Jobs Act. Aggiungo: il verbale di conciliazione (allegato 3) temo che potrebbe essere impugnato. Nessuna considerazione circa il riferimento all’art 5, comma 2-ter, D.L. 347/2003 (il comma ter non esiste…), ma la richiesta rivolta ai lavoratori di rinunciare al risarcimento del danno a qualunque titolo, anche ex articolo 2087 e 2116 comma due non è lecito. La rinuncia può solo riguardare diritti certi e già maturati, non diritti futuri».

Manganaro: «Sulla lettera di chiusura del rapporto ci sarà una riunione a breve, la lettera deve essere riscritta, perché questi aspetti, di cui ci siamo accorti dopo, li abbiamo visti. L’impegno col governo è riscrivere la lettera e modificarla. Alcune di queste osservazioni le avevamo fatte anche noi, mi vengono in mente la questione del danno biologico e altre. No, la lettera deve essere riscritta. Quindi ci dovrà essere un’altra riunione, con il commissario, il governo, con noi, con i nazionali. Bisogna tenere presente che quando arrivi alle due o alle tre di notte, e stai pensando alla sorte di un migliaio di persone, e loro sono presenti con schiere di avvocati, noi con i delegati… Però poi ognuno il giorno dopo va a rileggere il contratto, va dall’amico avvocato e gli dice: “mi spieghi se ho fatto bene o se ho fatto male?”. Comunque il governo si è dichiarato disponibile a riscrivere la lettera, quindi vediamo. Ed è anche vero questo, che il problema non riguarderà Mittal ma, formalmente, i commissari. Credo che Mittal potrebbe avere maggiore rigidità a modificare la lettera, con i commissari ci sono altri rapporti, sarebbero possibili anche pressioni politiche. Comunque i commissari hanno già dichiarato la loro disponibilità a riscrivere la lettera, e credo che qualche possibilità di rimetterla al meglio ce l’abbiamo».

Vella: «Stiamo parlando della siderurgia in Italia, dell’Ilva, quindi ci sarà un occhio attento da parte di tutti, oltre che da parte nostra, rappresentiamo tutti i lavoratori».

Dapelo: «E perché nella lettera di assunzione non si fa riferimento all’articolo 18 punto e basta? Perché, visto che non si applica il 2.112, che rende i lavoratori deboli, si dice: “Sede di lavoro: senza pregiudizio per la facoltà della società di disporre nelle condizioni di legge il suo trasferimento ad altra sede della società ovvero al suo distacco”?».

Apa: «Ma questo è previsto dal contratto nazionale del lavoro. Non è che abbiamo firmato delle stronzate. È previsto dal contratto dei metalmeccanici».

Il confronto tra le ipotesi di accordo: Calenda vs Di Maio

Dapelo: «Mettiamo a confronto il governo A con il governo B, quindi confrontiamo i due contratti, le due ipotesi. Secondo me, per delle concatenazioni che si verificano a seguito dell’applicazione di questo verbale, il precedente forse avrebbe dato più occupazione. Mi spiego meglio. Che da 10 mila a 10.700 ci sia un incremento è vero, ma va anche dato atto, a prescindere da Calenda o Bellanova o Di Maio, che, nella dinamica degli accordi sindacali, gli accordi si raggiungono quasi sempre all’ultimo momento, questo l’abbiamo vissuto tutti. Quindi, a Calenda, per motivi che non posso sapere e non voglio sapere, non è stata fatta portare a termine la partita. Punto. Ma lui aveva previsto 10 mila assunzioni, che magari sarebbero potute diventare di più, e 1.500 che, in parte, avrebbero riguardato l’indotto di Mittal, con un’eventuale partecipazione di Mittal. Questo avrebbe avuto un valore sotto il profilo sociale, secondo me, altissimo, perché i 10 mila lavoratori sono già iper-protetti, e non possiamo dire di no, perché ci sono lavoratori che da 10 anni sono in cassa. E i lavoratori dell’indotto, normalmente in situazioni precarie, comunque non con le tutele che hanno i lavoratori dell’Ilva, avrebbero potuto avere pari dignità sotto il profilo della tutela, non solo retributiva, ma anche contrattuale. Quindi è stata un’occasione persa per il territorio, perché avremmo tolto persone che non ci avrebbero pensato due volte a essere assunte, a differenza di questi 10.700. La voce che gira è che tantissimi di loro vogliono restare in cassa integrazione. Secondo punto: gli incentivi all’esodo, che ammontano a 250 milioni di euro, sono un regalo che Di Maio ha fatto a Ilva: prova ne sia l’accordo che consente ad Am InvestCO di detrarre, dai canoni di locazione dovuti a Ilva, l’importo totale degli incentivi all’esodo. Meno soldi nelle già più che vuote casse di Ilva, quindi minori risorse per pagare (anche) le aziende creditrici dell’indotto di Ilva: per loro si prospetta una perdita dei crediti in misura pari al 95% del totale dei crediti stessi. Quindi abbiamo fatto uno spreco a vantaggio dei tutelati, mentre i deboli li abbiamo lasciati ancora più deboli, e in più abbiamo ampliato la voragine dell’Ilva a scapito dei creditori. Folle. A prescindere dai numeri».

Manganaro: «Non c’è scritto da nessuna parte: tutta questa ipotesi, questa cosa di Calenda, è tutta chiacchiera. Perché non è mai stato presentato nessun piano al sindacato della famosa società Invitalia. Lui se l’è venduta, ma qui bisogna capire se discutiamo di atti formali o di chiacchiere».

Dapelo: «C’è nel sito del ministero dello Sviluppo».

Vella e Manganaro

Manganaro: «No, lì ci sono dichiarazioni di Calenda fatte anche a un tavolo sindacale, ma a noi non è mai stato presentato un piano di Invitalia. A un certo punto, quando la trattativa stava arrivando verso il muro, lui si inventò questa cosa: “ma io ho l’idea di sistemare gli esuberi con Invitalia a Taranto e con Società per Cornigliano a Genova e potrei metterci dentro anche l’indotto”. Non è mai stato presentato un progetto, neanche a mano, niente. Quindi sono chiacchiere, chiacchiere del ministro riportate sul sito del ministero. C’è un progetto? Dov’è? Non c’è. Lui buttò lì questa ipotesi di Invitalia, e mi ricordo che nei corridoio i commissari diventavano matti, perché una volta buttata lì l’idea, poi bisognava trasformarla a livello giuridico, e non era facile. Era un’idea buttata lì, a cui qualcun altro doveva lavorare. Dopo sei mesi di niente Calenda, per tentare di dimostrare che si andava oltre i diecimila (cosa mai dimostrata) disse una bufala grande come una casa, cioè che questa società avrebbe fatto le bonifiche. Se c’è una bufala, è quella. I lavoratori coinvolti avrebbero dovuto fare una cosa tecnicamente impossibile, perché a me hanno insegnato che per fare le bonifiche ci vogliono poche persone specializzate. Quando si inventò la cosa di Invitalia, Calenda si inventò l’idea che quelli avrebbero fatto le bonifiche di Taranto. Una bufala».

Dapelo: «Comunque non abbiamo la prova contraria perché sulle chiacchiere…».

Manganaro: «Ma non c’è neanche la prova in positivo».

Vella: «Sicuramente come Cisl ci siamo posti, sia con il governo precedente sia con l’attuale, con l’intenzione di finalizzare il miglior accordo possibile. L’impostazione di Calenda, rispetto ai numeri, sarebbe stata effettivamente differente e migliore, anche se ripeto, l’accordo non si è concretizzato perché non c’era la clausola di salvaguardia di tutti i lavoratori, cioè che alla fine del percorso del piano industriale ogni lavoratore debba avere da Mittal la proposta di assunzione laddove non ci siano soluzioni alternative. Quindi, rispetto all’impostazione del possibile accordo di Calenda, i numeri sono oggettivamente diversi. E dico di più: anche sulla questione dell’incentivo all’esodo: nel senso che i 250 milioni ci erano stati detti a voce anche da Calenda, ma si parlava anche di un incentivo di eso-pensione, un incentivo all’esodo che potesse in qualche modo far uscire le persone più vicine alla pensione. Traduco: oggi un lavoratore a cui mancano sei mesi alla pensione può prendere 100 mila euro, come un lavoratore a cui mancano otto anni o non riesce a raggiungere i requisiti minimi per la pensione. Dobbiamo anche ricostruire la storia, vedere come il tutto è nato. La scelta di chiudere l’altoforno a Genova è stata una scelta politica per restituire aree alla città, una scelta politica perché l’inquinamento effettivamente c’era e quindi con le istituzioni e i ministeri competenti abbiamo fatto un buon accordo che tutelasse i lavoratori, ma nessuno poteva immaginare il sequestro e tutto quello che è successo. Noi abbiamo cercato di tutelare i lavoratori che hanno subito una chiusura. Quindi come Cisl ci siamo posti fino all’ultimo per trovare la posizione migliore possibile. Ripeto, la cosa che ha unito tutte le organizzazioni sindacali era che mancava questa soluzione di salvaguardia di tutti i lavoratori. Ora noi dovremo cercare di far fare a Mittal investimenti importanti a Genova, in modo che qui si possa avere un centro di eccellenza anche su materiali nuovi e con macchinari moderni. Che si pensi al mercato mondiale, che si trasferiscano a Genova delle eccellenze su particolari materiali in modo da avere nel futuro un’azienda competitiva che abbia un numero di dipendenti diverso. Noi sfideremo l’azienda sulla produttività e sulla redditività di questo stabilimento, per ridistribuire ai lavoratori il giusto utile. Per quanto riguarda Società per Cornigliano, visto che l’accordo di programma esiste, bisogna che attori come questa società, Autorità portuale, Comune, Regione si attivino. Non a caso io, l’altro giorno, a Di Maio ho chiesto per tre volte il finanziamento per Società per Cornigliano per l’utilizzo di eventuali lavoratori ex Ilva con nuove mansioni che diano sviluppo industriale. Ci sono persone da dieci anni in cassa integrazione, dobbiamo provare a reintegrarle nella vita normale, una vita che dia loro dignità. E cosa dà dignità? Il lavoro. Concludo: considerando i numeri ipotetici, sicuramente la proposta Calenda era importante, da valutare, ma sappiamo che con Di Maio abbiamo fatto l’accordo migliore possibile».

Apa: «Il fatto è che Mittal aveva proposto 8.700 addetti, e la cancellazione dei diritti individuali dei lavoratori, sia sul versante salariale, sia sotto gli aspetti normativi. Ovviamente c’era stato un rifiuto da parte nostra di riprendere il negoziato qualora Mittal non avesse abbandonato questa posizione. Calenda riuscì ad alzare l’asticella da 8.500 a 10 mila e al contempo riuscì a togliere dal campo, sostanzialmente, l’aspetto dei diritti individuali dei lavoratori. Il problema vero è che le 6-7 paginette che ci aveva presentato Calenda non erano un accordo così composito come l’abbiamo stipulato noi. E gli 8.500 che avevamo fatto rientrare e diventare 10 mila, alla fine, nell’idea del progetto Calenda e nell’idea Mittal, erano sempre 8.500. Per questo abbiamo abbandonato il tavolo».

Manganaro: «La società Invitalia era fumo. Calenda si spendeva mediaticamente i 10 mila, ha ragione Apa, sapendo invece che per Mittal “nel 2023 saranno 8.500”. Si è speso 10 mila prendendoci in giro. Lui ci diceva che era arrivato a 10 mila, ma nel gioco delle tre carte si partiva da 10 mila per arrivare a 8.500, quindi alla fine i numeri erano quelli. Calenda ha scherzato con noi, oltre ad aver fatto un accordo segreto che non ci ha fatto vedere, e poi si è giocato questa ipotesi di Invitalia su un’idea che è una presa in giro. Quindi, tutta una sua invenzione. Non ci è neanche stato presentato un progetto, nessuna trattativa, l’ha buttata lì un giorno e poi è sparito».

Occupazione: quali scenari futuri?

Dapelo: «Tenuto conto degli attuali livelli occupazionali, e tenuto conto di quanti vorranno restare in cassa, che sarà fino al 2023/2025, di tutti quelli che non rientreranno, che per motivi di libera scelta e valutazione individuale accetteranno l’esodo, quanti saranno le persone che lavoreranno all’Ilva in tutta Italia? Ottomila? Mittal, vero vincitore di tutto questo, ha fatto un grande business, si ritroverà con la possibilità di assumere chi vuole alle condizioni che vuole».

Da sinistra: Alessandro Vella, Bruno Manganaro, Antonio Apa

Vella: «Come Fim Cisl abbiamo firmato l’accordo con Di Maio consapevoli del fatto che è un buon accordo, come avremmo firmato con Calenda un possibile buon accordo. Ora c’è il rischio che tanti lavoratori vogliano rimanere in cassa integrazione? Può essere. Da qui a un mese ci sarà uno scenario che comprenderemo meglio. Sui mille dipendenti a cui ArcelorMittal proporrà di essere assunti, oggi non abbiamo riscontro. Può essere che da qui a un mese, di quei mille, cento o cinquanta o venti o dieci facciano scelte diverse e vogliano uscire dall’azienda. Con l’accordo che prevede fino a un numero massimo di 464 dipendenti, teoricamente 464 persone a Genova possono alzare la mano e andarsene. Il problema sociale è formare nuovamente le persone, perché ci sono lavoratori da 10 anni in cassa integrazione, magari svolgono lavori di pubblica utilità, non per loro scelta, e alcuni lavori non sono professionalizzati. Quindi, un tema è questo: come riusciamo a ricollocare queste persone se non ci sarà un percorso di formazione? Come farli rientrare nel mondo del lavoro dopo dieci anni che non lavorano?».

Apa: «Noi non siamo degli sprovveduti, di trattative ne abbiamo fatte. Quando ti trovi ad affrontare una situazione così complessa, ci pensi dieci volte prima di formalizzare l’intesa. È chiaro che quello che abbiamo firmato sostanzialmente lo riteniamo contrattualmente valido, onorevole per noi. Il rischio può essere che qualche lavoratore che è stato per molti anni in cassa integrazione possa farsi un calcolo e dire: “ma tutto sommato perché io mi devo prendere solo cinque anni di cassa integrazione dato che l’amministrazione straordinaria dispiega i suoi effetti oltre il 2023? Io non faccio solo cinque anni di cassa integrazione ma duro finché, sostanzialmente, dura l’amministrazione controllata”. Questo io lo ritengo un atteggiamento egoistico perché noi offriamo la possibilità a quel lavoratore di poter accedere a quell’attività produttiva che fino a ieri non aveva. È la gente che dovrebbe riflettere attentamente: questo sindacato ha condotto una battaglia per poter affermare il principio che un grande asset industriale come l’Ilva non andava sacrificato e abbiamo creato i presupposti perché i lavoratori potessero rientrare. Noi non abbiamo traguardato la soggettività individuale del lavoratore, abbiamo traguardato l’elemento collettivo, che ci ha portato a formalizzare l’intesa. Io vedo una grande opportunità su Genova: se noi siamo bravi possiamo fare una duplice operazione: la prima, tenere aperto il canale di Mittal sulla clausola di garanzia. La seconda, dato che c’è stata la disponibilità da parte di Di Maio, insistere con il governo per finanziare Società per Cornigliano per avere un doppio canale: da una parte poter essere assorbiti da Mittal, come previsto dall’accordo, e dall’altra essere veicolati nella Società per Cornigliano. A questo punto avremmo un doppio canale e forniremmo alla città delle forze utili».

Vella: «Oggi i dipendenti sono mille ed è un numero un po’ forzato: la produzione attuale di Genova è di 900 persone, quei cento sono stati frutto della mediazione. Non possiamo pensare a un’azienda di 700 dipendenti e tutti gli altri in cassa, la nostra battaglia per aumentare il numero degli occupati verrebbe smentita dai nostri stessi lavoratori».

Chiude Manganaro con un’osservazione che ci riporta a monte della vicenda contrattuale: «Da quello che so io, hanno fatto un accordo Stato e famiglia Riva, ma dal punto di vista giuridico come è stato possibile? Il magistrato sequestra il sito e lo Stato requisisce tutti gli stabilimenti. Io, dal punto di vista giuridico, non l’ho ancora capito. So che a un certo punto lo Stato e la famiglia Riva hanno fatto un patto».

Odoardo Scalettiby Odoardo Scaletti
in Lavoro e Impresa
Ottobre 4, 2018
Tags: alessandro vellaAm Investco Italy srlAntonio ApaArcelorMittalBruno Manganarocarlo calendafamiglia Rivafimfiom cgilGiulio DapeloIlvainvitaliaJobs Actluigi di maiosocietà per corniglianostudio Dapelouilm
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