In scia a dati macroeconomici economici sotto le attese e, soprattutto, ai timori di escalation di guerre commerciali, innescati dagli annunci da parte dell’amministrazione Trump di nuovi provvedimenti commerciali (dazi) contro le importazioni di acciaio da alcuni Paesi, soprattutto asiatici, tra cui la Cina (esentati Canada, Messico, Brasile, Argentina, Australia e, per ora fino a maggio, Unione Europea), le principali piazze azionarie internazionali sono andate via via indebolendosi, con un graduale aumento dell’avversione al rischio e degli indici di volatilità implicita: il VIX “a pronti” sullo statunitense S&P500 si è, così, riportato in area 24-25%, mentre sul contratto “a termine” il mercato attendere conferme, limitandosi a un rialzo poco sopra area 20% (in ogni caso, allontanandosi da area 15-16%, su cui i mercati e gli operatori avevano cercato di stabilizzarsi e abituarsi). In flessione, così, i principali listini azionari internazionali: -3,66% per l’area euro; -6,50% per l’area Usa (con il Nasdaq maggiormente bersagliato dalle vendite, dopo le rivelazioni di violazioni della privacy su oltre 50 milioni di profili Facebook statunitensi da parte di società specializzate);-3,59% per il Giappone; -3,56% per l’area emergenti (fonti, indici JP Morgan in euro alle chiusure del 23 marzo scorso).
Negli Stati Uniti, la Banca centrale (la Fed), nell’ambito del suo programma di riduzione graduale degli stimoli di politica monetaria e in linea con le attese degli analisti, ha ritoccato al rialzo di 25 punti base i tassi di riferimento (nuovo range 1,50-1,75%), spiegando che “l’attività economica è cresciuta a un ritmo moderato” (nel suo ultimo comunicato, la Fed aveva parlato di “crescita solida”) e che i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese hanno registrato un rallentamento rispetto al forte andamento del IV trimestre; durante il suo primo discorso come presidente della Fed, Jerome Hayden Powell ha, di fatto, secondo gli analisti, lasciato la porta aperta per il 2018 a “due” (e non più “tre”, come in precedenza ipotizzato dai mercati nell’ultima correzione tecnica di inizio febbraio) rialzi dei tassi di riferimento da 25 punti base ciascuno. Di conseguenza, debole il cambio del dollaro statunitense sia verso yen giapponese che verso euro, quest’ultimo risalito nuovamente sopra area 1,24.
Nel frattempo, sono usciti: in lieve rallentamento l’indicatore di tendenza del Conference Board (effettivo a +0,6% vs. precedente a +0,8%, rivisto al ribasso dalla precedente stima flash di +1%), e un decisamente robusto dato preliminare sugli ordini dei beni durevoli di febbraio, cresciuti del 3% dal -3,5% di gennaio.
In Eurozona, rallenta il momentum della crescita: l’indice di aspettative Zew di marzo è sceso a 13,4 punti dai 29,3 di febbraio e, con lui, anche l’altro importante indicatore anticipatore, il PMI Composito per l’area euro nel suo complesso, sceso a 55,3 punti dai 57,1 di febbraio. Poco brillanti due indicatori specifici riferiti alla Germania: Zew effettivo a 5,1 da p17,8 di febbraio e Ifo effettivo a 104,4 da 105,4 di febbraio.
Lo spettro di eventuali battaglie a colpi di dazi tra Usa e Cina ha sostenuto le quotazioni dell’oro, salito verso i 1.350 dollari/oncia, mentre le quotazioni del greggio Wti statunitense sopra i 65 dollari/barile e quelle del Brent londinese sopra i 69 hanno beneficiato delle dichiarazioni dell’Arabia Saudita su una possibile estensione anche a parte del 2019 degli attuali tagli alla produzione giornaliera.
In questo contesto operativo di generale avversione al rischio, facendo seguito anche al comunicato Fed e ai più tiepidi dati economici, i rendimenti dei principali titoli governativi a medio-lungo termine si sono stabilizzati: il Treasury statunitense a 10 anni in area 2,282-2,86%, gli omologhi bund tedesco in area 0,52-0,56% e Btp italiano in area 1,90% (spread verso bund a 128-134 punti base); su quest’ultimo fronte, è proseguito in Italia il dibattito politico del dopo-voto del 4/3: a nomine ormai avvenute dei presidenti delle due Camere e rassegnate le dimissioni del Governo uscente, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fissato per mercoledì 3 aprile la data di avvio delle consultazioni con i vari leaders politici per la formazione del prossimo Governo.
Che cosa guardiamo questa settimana
Negli Usa, sono attesi gli indici per marzo di fiducia redatti dal Conference Board e dell’Università del Michigan (consumatori), nonché i dati sulla spesa personale di marzo.
In Eurozona, usciranno l’indice di fiducia economica della Commissione Europea e il dato sulla crescita tendenziale dell’aggregato monetario ampio M3 (ultimo dato al 4,6%).
In Cina, saranno pubblicati gli indici Pmi manifatturieri e compositi di marzo.
A livello di risultati societari, riporteranno Bank of China, Electrobras e China Telecom.
La nostra strategia di allocazione del portafoglio
Riteniamo che i solidi fondamentali economici in tutte le principali aree geografiche possano continuare a supportare la crescita globale e, conseguentemente, i mercati azionari durante il 2018.
Sul comparto azionario, manteniamo, tuttavia, una “neutralità”, in quanto non escludiamo possibili nuove incursioni della volatilità nelle prossime settimane (da un punto di vista di analisi tecnica, per una ripresa duratura del trend rialzista occorrerebbe un test di conferma della tenuta del supporto in prossimità dei minimi di inizio febbraio).
Sul comparto obbligazionario, i tassi d’interesse, ormai entrati nella fase, da tempo annunciata, di graduale normalizzazione delle politiche monetarie delle principali banche centrali a livello globale, tenderanno a salire con gradualità; per tale motivo, suggeriamo un approccio cauto, con la prevalenza di scadenze brevi, una gestione flessibile della duration ed una rigorosa selezione qualitativa degli emittenti e dei settori.
Sul comparto valutario, restiamo in generale prudenti, a causa dell’aumentata complessità di previsione degli andamenti futuri e tenuto conto degli attuali contesti politici (sia europei che statunitensi) e geo-politici, anche con particolare riferimento alle recenti tensioni sul fronte del commercio internazionale ovvero dell’introduzione di dazi commerciali da parte degli Stati Uniti per alcuni prodotti d’importazione.