Nessuna novità dalla conferenza stampa Bce: invariato il piano di acquisto di titoli fino ad almeno dicembre 2017. L’assenza di decisioni significative è stata commentata dallo stesso Draghi che, rispondendo in conferenza stampa a domanda specifica sugli effetti negativi del rafforzamento dell’Euro sul tasso di inflazione, ha evidenziato che, preso atto del miglioramento del momentum di crescita, ma anche del fatto che l’inflazione rimane contenuta, il comitato direttivo ha preferito rinviare qualsiasi decisione al prossimo autunno.
Nel frattempo, l’euro prosegue la sua corsa contro il dollaro statunitense, con un ulteriore strappo al rialzo sopra area 1,165, accompagnato dalla discesa dei tassi governativi decennali statunitensi (verso area 2,20%) e tedeschi (di nuovo sotto lo 0,50%), con conseguente recupero dei prezzi, soprattutto, dei titoli governativi Ue, in particolare, periferici, con il rendimento nostro Btp decennale passato dal 2,30% medio di un paio di settimane fa al 2,05% di lunedì 24. Le perdite delle principali divise contro euro delle ultime settimane hanno, però, generato performance settimanali negative per i comparti corporate globali, obbligazionario globale, debito emergenti e azionario globale (ancora sui minimi assoluti la volatilità implicita Vix S&P500 al 9,84%).
Dato il nostro scenario centrale atteso, tali dinamiche riflettono principalmente movimenti speculativi di breve periodo e non effettive variazioni del contesto economico, finanziario e di politica monetaria.
L’accelerazione della tendenza al rafforzamento dell’euro pare eccessiva in rapporto a quanto effettivamente emerso sia dall’ultima conferenza Bce che dalle più recenti indagini Pmi in Ue, che hanno evidenziato un (fisiologico) rallentamento del tasso di crescita economica (il più lento degli ultimi 6 mesi); lo stesso indice di aspettative tedesco Zew è sceso da 37,7 a 35,6 punti, al di sotto delle attese degli analisti a livello sia di situazione corrente che di aspettative di crescita economica (innegabili i malumori degli esportatori tedeschi a seguito del recente forte apprezzamento dell’euro sulle principali divise internazionali).
Gli esperti ritengono, quindi, che anche la discesa dei tassi d’interesse degli ultimi giorni sia stata guidata principalmente da fattori più tecnici che fondamentali e che, pertanto, sia solo temporanea, visto anche quanto emerso dall’ultimo sondaggio Bce sugli standard di erogazione del credito per le banche dell’Eurozona (che suggerisce un consolidamento della traiettoria di crescita economica per l’Eurozona per i prossimi trimestri) e dall’ultimo indicatore anticipatore Usa del Conference Board, uscito in accelerazione da +0,2% a +0,6%.
È indubbio che alcuni settori dell’economia statunitense stiano beneficiando non poco dal deciso deprezzamento del dollaro statunitense nel secondo trimestre e ancora in corso nel trimestre corrente, come, per altro, testimoniato dalle eccellenti performance di borsa da inizio anno al NYSE: +20% per il principale indice azionario statunitense Nasdaq del comparto non finanziario (in prevalenza, tecnologico e biotecnologico), che deriva oltre la metà dei propri ricavi dai mercati extra-statunitensi e +40% da inizio anno per il sotto-indice dei semiconduttori, che deriva oltre i 4/5 delle sue vendite dai mercati non statunitensi.
Che cosa guardiamo questa settimana
Negli Stati Uniti, per valutare se effettivamente è avviata una nuova fase di accelerazione dell’attività economica (in parte, anche supportata al recente deprezzamento del biglietto verde contro euro) coerente con il graduale ciclo di normalizzazione della politica monetaria più volte ribadito dalla Fed, sono da monitorare, a livello di dati macro-economici, gli ordini di beni durevoli (consensus Bloomberg +3,5% vs. precedente -0,8%), l’indice di fiducia del Conference Board (consensus 116 vs. precedente 118,9) e la prima stima dei dati di Pil per il secondo trimestre (prevista una decisa accelerazione a +2,5% dal +1,4% del trimestre precedente, sostenuta da una ripresa dei consumi).
A livello di eventi, il più atteso è sicuramente la riunione Fed di mercoledì 26, dalla quale la maggioranza degli operatori non si attende novità di rilievo (tassi invariati nel range 1,00-1,25%) e, viste anche le pressioni inflazionistiche ancora molto contenute, la maggioranza degli economisti intervistati da Bloomberg ritiene che la Fed darà indicazioni sul piano di riduzione dell’ampiezza del suo Stato Patrimoniale solo nella prossima riunione del 19-20 settembre, attendendo, per altro, quella del 12-13 dicembre per alzare nuovamente i tassi (tra le due c’è anche quella del 31/10-1/11).
Nel medio termine (12/18 mesi), il contesto economico e finanziario globale di moderata crescita economica, tassi d’interesse contenuti, inflazione benigna e bassa volatilità, permane favorevole alle classi di attivo rischiose (azioni, materie prime, obbligazioni “high yield” ed “emergenti”), per il cui investimento suggeriamo “piani programmati e periodici di accumulo”.
Nel breve termine (agosto/settembre), gli esperti continuano a mantenere un approccio più tattico e prudente, non escludendo un risveglio della volatilità con nuovi possibili improvvisi “sell-off” di obbligazioni governative (nelle aree di maggiore incertezza delle comunicazioni delle banche centrali sulle future misure di politica monetaria), azioni (anche europee) e obbligazioni “high yield” ed “emergenti”, anche a seguito di un “event risk” inatteso, per esempio, “geopolitico” o “politico” (negli Usa è sempre aperto il dibattito sul “Russiagate” e in Ue si stanno avvicinando le elezioni politiche tedesche del 24709, mentre per quelle italiane il cantiere sempre aperto della legge elettorale ne allontana, per ora, la data di svolgimento al febbraio-marzo 2018).
Punto Ponti torna a settembre.