Quest’anno Slow Fish aveva uno slogan, “la rete siamo noi”. Forse sono ancora troppo pochi quelli che hanno deciso di farne parte.
Il patron di Slow Food Carlo Petrini, in occasione della prima presentazione di Slow Fish 2017, nella sala trasparenza della Regione Liguria, aveva affermato: «L’educazione è il patrimonio più importante di Slow Fish. Mi piacerebbe che tutte le classi di tutte le scuole genovesi possano partecipare all’evento: con l’educazione si formano i cittadini di domani».
Se il desiderio del patron di Slow Food si dovesse avverare, i cittadini di domani, forse, potrebbero essere più preparati sulla sostenibilità ambientale, sulla salvaguardia dei mari, sull’ecologia e sul riciclo, temi cari a una manifestazione come Slow Fish, e sapranno quindi agire di conseguenza, rispettando l’ambiente che li circonda. Per ora, i cittadini di oggi non sembrano nutrire molto interesse in tutto ciò, e lo hanno dimostrato proprio nel corso di Slow Fish. Un evento che, oltre alle buone pratiche alimentari, ha sempre fatto della tutela dell’ambiente e dell’educazione il proprio credo.
La galleria fotografica che vi mostriamo risale alla sera di venerdì 19 maggio. Siamo in piazza Caricamento, nel cuore dello street food organizzato da Slow Fish: i tavolini traboccano di piatti, bicchieri e altri rifiuti abbandonati, nonostante gli innumerevoli cassonetti per la differenziata disposti al centro e ai lati della piazza. E nonostante la presenza di diversi addetti che, per l’intera serata, hanno istruito al corretto smaltimento le persone (poche) che gettavano i rifiuti negli appositi bidoni. «I ragazzi degli stand sono disperati – ha commentato una di loro – la gente abbandona tutto sui tavolini. A pranzo la situazione era un po’ diversa». Probabilmente per il minor numero di persone. Ma i punti per la raccolta differenziata predisposti da Slow Fish (circa una decina solo nella piazza) sarebbero stati sufficienti per soddisfare anche la forte affluenza della serata, se solo le persone, dopo aver mangiato e bevuto, avessero voluto usufruirne.
Qualcuno potrebbe obiettare: perché gli addetti non hanno provveduto a pulire i tavolini e gettare i rifiuti nei bidoni, anziché rimanere fermi a guardare? Al di là del fatto che non fosse previsto un “servizio al tavolo”, con tanto di pulizia, forse perché il cittadino dovrebbe cominciare a dimostrare, in prima persona, di tenere alla propria città, a partire dai piccoli gesti. Come quello di gettare il bicchiere di birra bevuta a Slow Fish nel bidone dell’umido, perché oltre a comportarsi in modo civile, magari avrebbe anche imparato che il numero 7 stampato sul fondo di un bicchiere apparentemente di plastica, significa che l’oggetto può essere smaltito insieme ai rifiuti biodegradabili.
Nel suo “piccolo”, questa situazione ci è sembrata rispecchiare molto più di una scarsa educazione al corretto smaltimento dei rifiuti. Qui, a entrare in gioco, c’è anche un problema di civiltà e di rispetto verso il prossimo (ovviamente i tavolini stracolmi di rifiuti erano inavvicinabili). E per una città che entro 2020 dovrebbe raggiungere il 65% di differenziata (al momento è ferma al 34%*) queste premesse non sono molto incoraggianti.
Chissà se coloro che a Slow Fish si sono dati all’abbandono dei rifiuti si sentono anche parte dell’azienda pubblica Amiu, tanto strenuamente difesa negli ultimi tempi dall’ “assalto” di Iren.
*dati Osservatorio regionale sui rifiuti 2016