Alla fine è accaduto quello che in pochi si attendevano. Il consiglio comunale ha respinto la delibera della giunta sul matrimonio Amiu-Iren. Un voto certamente politico, con il centrodestra che, votando contro, ha semplicemente dato un’ulteriore spinta al sindaco che stava già cadendo, sgambettato da alcuni membri della propria lista (Pederzolli e Nicolella) ed ex membri del Pd ora confluiti in Percorso Comune (Caratozzolo, Vassallo e Gozzi), che si sono astenuti. Contro anche Federazione della Sinistra, che ha definito l’operazione una “svendita”, dimenticando forse che la stessa Iren è partecipata dallo stesso Comune di Genova con una quota del 50% sul 33,3% attraverso Finanziaria Sviluppo Utilities. Iren è in ogni caso una società per azioni a maggioranza pubblica, essendo partecipata anche da altre Amministrazioni locali.
Intanto Amiu, dichiara a BizJournal Liguria il presidente Marco Castagna, ha previsto domani un cda, per proseguire con la realizzazione del piano industriale consapevole che non ci sarà più il socio forte finanziariamente. Gli impianti verranno molto probabilmente realizzati col project financing e non saranno quindi patrimonio dell’azienda come previsto dalla delibera bocciata.
Il problema: manca la liquidità
Da ieri sera Amiu è in una situazione di maggior debolezza e lo sono soprattutto i suoi dipendenti, visto che, a questo punto, non ci sarà nessuna proroga del contratto di servizio, che scadrà nel 2020.
Il problema dell’azienda è il forte squilibrio di cassa che si è creato con gli extra costi sulla bonifica e la sistemazione di Scarpino. In pratica sono stati pagati quelli del 2015, ma il rimborso avverrà in circa 30 anni, a mancare è la liquidità per pagare la realizzazione degli impianti previsti dal piano industriale per esempio.
I dati di bilancio
Secondo il bilancio consolidato 2015 di Amiu i debiti verso le banche sono di 35 milioni, di cui 16 oltre l’anno, quelli nei confronti dei fornitori 33 milioni. È crollato il valore della produzione da 212,8 milioni del 2014 ai 172,7 del 2015, anche i costi segnano un -36,5 milioni rispetto al 2014. L’utile segnava comunque un +116 mila euro.
Il Comune di Genova aveva incluso il Piano finanziario 2015 per le criticità di Scarpino quale parte integrante della Tari 2016, sostenendo Amiu rispetto alla relativa esposizione finanziaria, attraverso un finanziamento da 25 milioni di euro, deliberato dalla giunta comunale nel luglio 2016. Ora, come ha detto Marco Doria attraverso un comunicato stampa al termine della lunga giornata di ieri, “Il voto irresponsabile apre una fase drammatica per Amiu. È stata bocciata una proposta seria che avrebbe garantito un futuro all’azienda, consentendo la proroga del contratto di servizio e la indispensabile dotazione di impianti, contenendo al minimo la tariffa a carico dei genovesi. Al contrario la rinuncia a questa prospettiva non potrà che avere effetti pesanti sulla Tari per evitare il dissesto di Amiu. Insieme alla giunta valutiamo gli scenari che si sono aperti per la città, per i genovesi e per i lavoratori di Amiu”. Inevitabile l’aumento della tassa sui rifiuti per evitare il crac dell’azienda.
La delibera era stata migliorata
Il clima elettorale non ha certamente giovato, perché guardando gli emendamenti approvati in extremis alla delibera (anche alcuni ordini del giorno dell’opposizione), si era arrivati a un testo abbastanza equilibrato dal punto di vista della definizione delle linee guida per l’elaborazione del piano industriale ottimizzato. Il documento iniziale non convinceva neanche noi di BizJournal Liguria.
Con le modifiche apportate sarebbe stato dato mandato a negoziare con Iren il mantenimento della rateizzazione in 30 anni degli oneri di gestione e bonifica delle discariche di Scarpino 1 e 2, mentre, come aveva spiegato Marco Doria, non era possibile spalmare nel tempo, oltre i 10 anni proposti, i costi secchi del conferimento dei rifiuti fuori regione, costi già sostenuti.
Veniva anche stabilito di promuovere un tavolo istituzionale con Stato e Regione Liguria per affrontare il tema del reperimento delle risorse che consentano un minore impatto in tariffa dei costi straordinari relativi alla chiusura di Scarpino 1 e 2. Proprio su questo punto Giovanni Toti potrebbe giocarsi una carta importante, “salvando” la situazione.
L’altro emendamento riguardava la previsione che il piano industriale ottimizzato dovesse porsi l’obiettivo di una progressiva riduzione della tariffa, da ottenersi anche tramite l’avvio da parte dell’Ente di specifiche azioni contro l’evasione tariffaria, e accompagnato da un adeguato benchmark rispetto ad altre realtà metropolitane sugli indicatori di efficacia, efficienza, costo e qualità.
Era stato anche inserito il verbale sindacale del 29 luglio, inoltre era già stata modificata la parte in cui veniva stabilito di confermare gli attuali livelli occupazionali, i contratti nazionali di lavoro collettivo vigenti nel gruppo Amiu per azienda (Ccnl Utilitalia Servizi Ambientali, personale porti e chimici) e le posizioni giuridiche economiche esistenti derivanti dai relativi contratti e dagli accordi aziendali.
A regime si chiedeva di realizzare un sistema impiantistico che, oltre a chiudere il ciclo integrato di raccolta, trattamento e smaltimento con impianti propri in ambito metropolitano o regionale, potesse costituire anche un riferimento strategico a livello regionale in linea con gli indirizzi consolidati di massimizzazione del recupero di materia e di minimizzazione dell’avvio a smaltimento.
Veniva specificato che l’obiettivo era di minimizzare i disagi per i cittadini, attraverso una modalità di raccolta adeguata e compatibile con la specificità della Città di Genova, con l’introduzione di sistemi di premialità e incentivazione dei comportamenti virtuosi.
Non mancavano i riferimenti al piano del Conai e alla coerenza sia con la cornice normativa regionale, sia con il piano metropolitano.
Era stato persino accolto anche l’emendamento che stabiliva di escludere l’ipotesi di conferimento “di norma” in impianti a caldo (termovalorizzatori).
La società avrebbe dovuto mantenere la sede legale e operativa a Genova, mentre l’accordo di investimento fissava al limite del 69% la percentuale massima di partecipazione di Iren Ambiente in Amiu a conclusione della fase 2. Era stata anche approvata la proposta di Enrico Musso, di negoziare la distribuzione degli utili sul territorio e non come “dividendi” ai soci.
Alla luce di queste modifiche diventa ancora più difficile pensare che non si tratti di un voto solo in chiave politico-elettorale.
Legambiente preoccupata per la gestione rifiuti
«Bisogna ripartire ridisegnando la cornice delle relazioni tra i soci pubblici di Iren – afferma Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria – perché è fondamentale comprendere quale strada si voglia percorrere. Noi non siamo ideologicamente contrari al rapporto tra Amiu e una società di capitali privata a partecipazione pubblica, ma è necessario che il controllo, la pianificazione e la gestione del ciclo dei rifiuti resti a maggioranza pubblica e a Genova, come nelle altre città, nelle mani dei Comuni».
Legambiente sottolinea che oggi i rifiuti genovesi alimentano l’inceneritore di Torino: «Chiediamo che la politica torni ad essere protagonista dando un segnale forte rispetto alle politiche di indirizzo nella gestione dei rifiuti. Per fare chiarezza su questi aspetti andrebbero convocati gli amministratori locali di Torino, Reggio Emilia, Piacenza e Parma, che insieme detengono la maggioranza di Iren, per una discussione pubblica. Riteniamo che Amiu andrebbe valorizzata anche attraverso un investimento sulla costruzione degli impianti, beni immobili che se funzionali all’avvio di una vera economia circolare, potrebbero rappresentare un importante capitale pubblico e un forte indotto di mercato. Purtroppo su questo ultimo punto non è stato nemmeno avviato un confronto».