«L’intera mangimistica italiana è basata sull’uso degli ogm, che non possiamo studiare come scienziati e che gli agricoltori non possono coltivare, ma che acquistano nei consorzi agrari. Chiedo di etichettare come “derivato da ogm” tutti i prodotti che usano mangimi ogm. Così, quasi tutti i prodotti Doc e Igp, vanto del Made in Italy, dovrebbero apporre una simile dicitura». A proporlo è Roberto Defez, direttore del laboratorio di Biotecnologie microbiche all’istituto di Bioscienze e Biorisorse del Cnr di Napoli, intervenuto al convegno “Gli Ogm allo specchio tra timori e speranze” che si è tenuto venerdì pomeriggio alla Camera di Commercio di Genova.
Defez ha spiegato nel suo intervento che «sugli ogm è stata allestita una “ventennale campagna di disinformazionee di paure, che ha parlato solo alla pancia dei consumatori senza dare loro informazioni, fatti, dati, numeri e statistiche».
Ma sulla sua richiesta di etichettatura è sembrata d’accordo Cinzia Scaffidi, giornalista e insegnante, rappresentante di Slow Food, che ha invocato per il consumatore la “sovranità alimentare”. Scaffidi non è favorevole all’impiego degli Ogm e ha messo a fuoco due concezioni dell’agricoltura, una che la considera come “parte della natura” e l’altra come “un pezzo del mercato”.
Contrario agli Ogm si è dichiarato anche Fabio Rotta, responsabile economico di Coldiretti Liguria, secondo il quale «l’Ogm non è un modo di sviluppare il settore agricolo in Italia e neppure in Europa» e la vera minaccia per l’agricoltura italiana non viene dall’impossibilità di coltivare gli Ogm ma «dal falso Made in Italy che vale 60 miliardi di euro l’anno», miliardi sottratti ai nostri produttori. Rotta ha citato Peter K.A. Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, che invita a impegnarsi nell’industria alimentare e agricola sotto la guida di principi etici per la realizzazione del bene comune e la pace.
Manuela Giovannetti, professore ordinario di microbiologia agraria al Dipartimento di Scienza Agrarie, alimentari e agroambientali e direttore del Centro interdipartimentale di ricerca dell’Università di Pisa ha centrato il suo intervento sull’importanza delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica per la nostra via e ha trattato di alcuni problemi di impatto ambientale relativi alla coltivazione in pieno campo delle piante transgeniche, e sui rischi associati alla natura dei transgeni inseriti nelle piante Ogm, i loro effetti a largo raggio e il loro destino negli agroecosistemi.
L’imprenditrice agricola veneta Debora Piovan ha trattato delle microtossine su mais e dei trattamenti insetticidi ora necessari per combatterle, trattamenti che il mais ogm Bt permetterebbe di evitare, e ha illustrato «il paradosso italiano ed europeo del sì all’import di ogm ma no alla coltivazione».
Piovan ha chiesto «libertà di ricerca, libertà di sperimentazione in campo, libertà di impresa».