Ha perso e vorrebbe portarsi via la palla, non accettando una votazione dei colleghi sindaci all’interno di un organo collegiale come l’Ambito territoriale ottimale Acqua della Città metropolitana di Genova.
La battaglia di Roberto Levaggi, sindaco di Chiavari, contro il depuratore comprensoriale unico che verrebbe costruito nel Comune che amministra, rappresenta un esempio di pessima politica. Una politica che non solo non sa accettare l’esito di una votazione contraria a quanto sperava, ma intenzionata a mettere i bastoni tra le ruote all’iter successivo a tale decisione.
Prendendo in prestito le parole usate dal consigliere metropolitano Alfonso Gioia, si è passati dall’effetto Nimby (Not in my back yard, non nel mio cortile) all’effetto Nimto (Not in my turn of office, non nel mio mandato). La Liguria sta scontando questa tendenza in altri settori, a partire da quello dei rifiuti, per non parlare delle infrastrutture.
Eppure quello del depuratore è stato forse uno dei pochi casi in cui la procedura è stata rapida e la scelta finale la meno costosa (non lo ha detto Mediterranea delle Acque, ma uno studio tecnico esterno incaricato: l’I.A. Industria Ambiente srl): 5,1 milioni all’anno per l’impianto di Chiavari colmata, 5,3 milioni per gli impianti di vallata. Le altre ipotesi sul tavolo inoltre non erano percorribili perché o situate in zone inondabili o perché era necessario costruire una nuova colmata dal nulla.
Come ha anche ricordato il sindaco metropolitano Marco Doria, a Genova il depuratore della Darsena è sufficientemente avanzato tecnologicamente per coesistere in un’area di forte insediamento urbano e la costruzione di un nuovo impianto consentirebbe a Chiavari di smantellare quello in località Preli, risalente agli anni Settanta e che ha bisogno di una forte ristrutturazione. Inoltre il testo unico ambientale (decreto legislativo 152/2006, tabelle allegato 5) stabilisce dei parametri da rispettare che difficilmente un impianto così datato sarebbe in grado di soddisfare senza essere ammodernato.
La rapidità di decisione della Città metropolitana, organo non direttamente eletto dai cittadini, ha, per una volta, smentito lo stereotipo dell’immobilismo politico, dovuto, forse, anche a timori di perdere il proprio elettorato in caso di decisioni “pesanti”. È stato bravo a gestire la “patata bollente”, ricevendo i complimenti dai colleghi, il consigliere delegato Enrico Pignone.
Il non-decidere avrebbe provocato un ulteriore inasprimento delle sanzioni che la Liguria deve già all’Unione Europea dopo le due condanne della Corte di Giustizia europea e la terza in arrivo (18 milioni di euro).
Nella regione delle Bandiere blu stupisce che ci siano sindaci che non hanno la lungimiranza di considerare la costruzione di un depuratore all’avanguardia come un valore aggiunto per la propria città.
(Per approfondimenti sulla relazione di Industria Ambiente cliccare qui)