Quanto si rischia ad avviare imprese o anche, semplicemente, a viaggiare per affari, nei paesi nordafricani? «Il mare unisce i paesi che separa» ha scritto Alexander Pope, e le imprese liguri, dirimpettaie del Maghreb, da cui le separa un tratto di mare non ampio e navigato da millenni, ne sono ben consapevoli: ai paesi nordafricani, ben più familiari e vicini di quelli dell’Estremo Oriente, guardano con interesse. Non da ora. la Primavera araba ha interrotto un processo di sviluppo che stava diventando rilevante per entrambe le sponde del Mediterraneo. Adesso, Libia a parte, in Nord Africa le istituzioni hanno ripreso, almeno in parte, e in misura diversa secondo le località, il controllo della situazione, e in Liguria ci si domanda: vale la pena di tornare e rischiare?
Certo, tra fine 2010 e inizio 2011, con l’esplosione della Primavera araba, la delusione era stata grande, e la crisi imprevista. Ancora il 6 dicembre, nell’auditorium di Confindustria Genova si era tenuto il convegno “Internazionalizzazione, chiave della ripresa economica”, organizzato da Liguria International, Confindustria Genova, Confindustria Liguria, in collaborazione con Assafrica & Mediterraneo.
Il focus sul Mediterraneo, “quarta economia emergente”, si proponeva di “mostrare le occasioni uniche di sviluppo commerciale e di partnership che quest’area, in rapida evoluzione, può offrire alle nostre imprese, soprattutto in un momento in cui la difficile congiuntura economica costringe le aziende italiane a guardare verso nuovi mercati”.
Pochi giorni prima Amedeo Amato, direttore dell’Istituto di economia internazionale della Camera di Commercio di Genova, aveva fornito le stesse indicazioni, intervenendo alla presentazione di “Med in Italy”. «Il Nord Africa – aveva spiegato Amato – sulla base dei dati dell’Osservatorio permanente sull’economia dei paesi della costa Sud del Mediterraneo, è un’area in forte crescita, per noi più vicina e anche più comprensibile dell’Estremo Oriente». Amato citava i modelli di analisi e la previsione dell’Osservatorio su Marocco, Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto, sottolineando i ritmi elevati dello sviluppo: nel 2008 il pil è cresciuto del 7,1% (media euro: +0,3%), nel 2009 del 5,2% (media euro: -4,1%), nel 2010 del 5,3% (media euro: +1,7%). Per il 2011 le previsioni davano: media Nord Africa +5,4%, media euro +1,7%, per il 2012 Nord Africa +6%, media euro +2%.
Nel complesso – aveva precisato lo studioso – un mercato di 170 milioni di persone, che presenta bassi costi della mano d’opera e vicinanza alle fonti di approvvigionamento e per noi più familiare dei mercati asiatici. «Inoltre – aggiungeva – il basso livello del debito pubblico rispetto al pil fa prevedere che i governi non abbiano necessità, in futuro, di aumentare e la pressione fiscale. I Paesi di quest’area stanno investendo molto, in particolare in infrastrutture, solo in Egitto sono in programma 50 grossi progetti, e telecomunicazioni. Alle imprese chiedono forniture principalmente nella componentistica e nell’indotto di infrastrutture e telecomunicazioni. Fattori negativi da tenere presenti sono la forte burocratizzazione e l’inefficienza della giustizia».
Ora, i dati strutturali indicati a suo tempo da Amato restano, e per quanto riguarda la crescita annua l’esecutivo egiziano prevede di raggiungere un tasso di crescita del pil pari al 5,2%, la Banca centrale della Tunisia (Bct) stima una crescita economica del 2,6% nel 2016 e del 3,5% nel 2017, la Banca d’Algeria prevede per il prossimo anno un aumento del pil pari al 2,9%, mentre in Marocco la Banca centrale ha rivisto le sue previsioni sull’andamento dell’economia nazionale nel 2016, prospettando la possibilità di una flessione dell’1% del pil rispetto al 2015. Ma si tratta, probabilmente di un fenomeno dovuto a un fattore contingente, la siccità, che ha messo in ginocchio la produzione agricola e in particolare quella del grano, scesa a 38 milioni di quintali dai 70 dell’anno scorso. Il Marocco da anni registra un pil in aumento: 4,7% nel 2013, 2,4% nel 2014, 4,8% nel 2015.
Che fare? I dati macroeconomici sono allettanti ma rischi che può correre un’impresa nel Maghreb restano.
In questo articolo, ancora freschi del ricordo della vicenda di Gino Pollicardo di Monterosso, uno dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia il luglio scorso e tornato a casa ai primi in marzo, con una festa di paese turbata dalla consapevolezza che due dei colleghi di Pollicardo non avevano avuto altrettanta fortuna ed erano morti nel paese africano, prendiamo in esame uno soltanto dei fattori di rischio: quello dell’incolumità delle persone. E lo facciamo intervistando un esperto di sicurezza, Carlo Biffani, direttore generale della Security Consulting Group di Roma, una delle maggiori agenzie italiane specializzate nell’analisi e nella mitigazione dei rischi.
«Avere la necessità di muoversi nei paesi del Maghreb, della fascia nord-africana che va dal Marocco a Est, fino all’Egitto ad Ovest – premette Biffani – vuol dire affrontare una serie di problematiche diverse di paese in paese e può comportare una esposizione a possibili rischi, collegati tanto alla presenza di realtà terroristiche che ad altre di tipo criminale, come può anche significare trovarsi in situazioni che possono non avere una connotazione di pericolo evidente ma diventare rischiose se accadono in luoghi nei quali il controllo dello Stato centrale è in alcuni casi vago se non addirittura inesistente».
Secondo Biffani, «appare evidente come in una situazione fluida e in continua evoluzione come è quella nord-africana sia praticamente impossibile prevedere, in alcuni casi nel breve, e in numerosi anche nel medio periodo, quali possano essere i rischi insiti nel muoversi, interagire, sviluppare opportunità di business e lanciare sinergie con partner locali, ma appare evidente come vi possano comunque essere delle differenziazioni a seconda dei luoghi nei quali ci si intende spostare e anche rispetto ai motivi del viaggio. Essere turisti, o uomini di affari può esporre a rischi diversi, sia in termini di percezione da parte degli abitanti di quel dato paese sia riguardo alle situazioni nelle quali ci si può venire a trovare».
I più stabili
Considerando i diversi Paesi, «il Marocco e l’Algeria, al momento, sembrerebbero rappresentare le due realtà più stabili, meglio controllate dal potere centrale e dagli organismi di sicurezza e i luoghi le cui capitali vivono in una situazione di relativa calma e a un livello di accettabile sicurezza. Il terrorismo di ispirazione jihaidista ci ha però abituati a cambiamenti di scenario particolarmente repentini e violenti, quindi quello che mi sentirei di consigliare è in primo luogo una attenta analisi delle attività che si andranno a svolgere, dei luoghi che si visiteranno e una pianificazione certosina del viaggio, svolta laddove possibile, da realtà come la nostra che possono proporre un approccio e una visione orientata alla “travel security”, ovvero a quella branca della sicurezza che ci mette in grado di organizzare una trasferta in modo da essere consapevoli dei rischi e da minimizzarli».
«In Marocco si può immaginare, laddove richiesto, di muoversi anche con un dispositivo di protezione non particolarmente ridondante ed evidente, mentre in Algeria è direttamente un apposito ufficio della gendarmeria che si occupa di fornire, su richiesta e dopo una sua valutazione in merito, i servizi di protezione ravvicinata a coloro i quali ritengono di averne necessità».
Libia
«Differente, per ovvie ed evidenti ragioni, è l’esempio della Libia, dove al momento le attività collegate al business nazionale e alle opportunità di sviluppo internazionale sono pressoché paralizzate, anche se qualcosa continua ad essere fatto nel campo delle oil-company e dell’energia più in generale. Per quanto attiene a questo paese, la nostra società ha in essere partnership con realtà internazionali che forniscono servizi di alto profilo in termini di protezione ravvicinata, ma è chiaro a tutti che in questo momento si può decidere di andare in Libia solo per eccezionali e improrogabili ragioni, facendolo per altro, quasi certamente con il parere sfavorevole delle nostre autorità».
Tunisia
«La situazione della Tunisia è piuttosto complessa. Come è nel caso anche dell’Algeria e del Marocco, molti dei più agguerriti combattenti di Daesh provengono da quel Paese, che peraltro ha già subito ripetutamente attentati, attacchi questi volti a minare la risorsa turistica e a creare un clima di sfiducia nei confronti di quella nazione. Il governo si è attivato con grande dispendio di energie e di risorse, ampliando le sue capacità di controllo e realizzando una serie di dispositivi il cui fine è la difesa dei turisti e delle località di svago, ma resta il fatto che viaggiare in Tunisia, in questo momento, continua a rappresentare una potenziale fonte di rischio e prima di intraprendere un trasferimento verso quel paese varrà la pena consultare le indicazioni riportate nel sito Viaggiaresicuri e, anche in questo caso, chiedere un parere a una società di security consulting presenti nel nostro paese, che possono “aprire un ombrello di sicurezza” sulla trasferta che l’imprenditore o il turista si troveranno a fare».
Egitto
«L’Egitto appare molto sfaccettato. Il governo centrale è ben strutturato ed è di formazione militare. Ciò non di meno il terrorismo di matrice Is esiste e ha già colpito duramente, così come la criminalità che è piuttosto diffusa, tanto che in certe zone, anche nella stessa capitale, è certamente meglio non avventurarsi. Esiste anche lì la possibilità di muoversi con un dispositivo di protezione più o meno palesato, ma vi sono a tale proposito, difficoltà di varia natura. In ogni caso, moltissime sono le variabili delle quali si deve tenere conto. Solo per volerne citare alcune fra le più importanti, bisognerebbe capire chi è a conoscenza del nostro arrivo e della nostra permanenza, qual è il “sentiment” locale rispetto al tipo di business che si andrà a svolgere, quale è la scelta da fare rispetto alla individuazione dell’alloggio e del luogo di lavoro, come vanno individuati personaggi chiave quali gli autisti e gli eventuali interpreti e su cosa si basa una realistica e applicabile strategia difensiva, tutti elementi questi che noi professionisti siamo in grado di fornire sia in termini di formazione che in quelli di risorse sul terreno».
Alla fin fine, tutto considerato, come fare per garantire l’incolumità di chi deve viaggiare in questi paesi per affari o addirittura deve restarvi a lavorare?
«In questi ultimi tempi – precisa Biffani – ci viene sempre più richiesta la figura del “facilitatore” ovvero dell’advisor, una risorsa che abbia competenze di alto livello in termini di security ma che non svolga direttamente servizi armati. In pratica questo professionista collabora alla preparazione della trasferta e segue il cliente durante la permanenza, curando tutti gli aspetti essenziali e necessari a ridurre, a contrarre, i rischi che lo stesso cliente potrebbe correre. La presenza di un professionista di questo tipo, che ha tutta una serie di capacità e che si muove in un paese nel quale abbiamo sviluppato un nostro network, permette di contenere enormemente i rischi, di dotarsi di una risorsa performante e capace e di non avere un particolare impatto in termini di ridondanza e di costi».
Al cliente – dice il direttore di Security Consulting Group – vengono forniti gli strumenti necessari per analizzare, comprendere, valutare e contrarre il rischio. «Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente di security proponiamo il “facilitatore” come supervisore e consulente, mentre la parte operativa viene svolta in genere da compagnie locali. Nel nostro data base per questo tipo di figura professionale disponiamo di circa un centinaio di nominativi. Il facilitatore, o risk manager, è tenuto ad agire in pieno accordo con le altre funzioni aziendali, e i suoi suggerimenti sono discussi con il top management. Un buon professionista del settore frequenta corsi di specializzazione e aggiornamento, si tiene in buona forma fisica, studia telecomunicazioni, geopolitica, lingue, strategia difensiva ed è in grado di pianificare e svolgere attività complesse come ad esempio l’evacuazione di persone in situazioni di pericolo».