«Si tratta di un provvedimento deciso e costruito con il supporto di specialisti in radiodiagnostica appartenenti al Diar e discusso con Confindustria, nel quale nessun soggetto è stato estromesso, a favore di un percorso di qualità da tempo intrapreso in questa Regione»: così Walter Locatelli, commissario di Alisa, commenta in una nota stampa il ricorso al Tar presentato da Confindustria Genova, Confcommercio Genova insieme ad alcune strutture sanitarie accreditate contro l’annullamento della Delibera A.Li.Sa. 165/2019 del 24.05.2019 avente come oggetto “Avviso di manifestazione d’interesse per implementazione dell’offerta di prestazioni specialistiche ambulatoriali di radiodiagnostica – TAC, RMN ed ecografie – e di chirurgia ambulatoriale oculistica ed ortopedica”.
«La delibera – continua Locatelli – ha previsto, a tutela del paziente e della qualità delle prestazioni erogate che tra i requisiti vi fosse, per le strutture contraenti, il poter disporre di almeno uno strumento con caratteristiche definite, senza entrare nel merito dei criteri di appropriatezza che spettano ai radiologi che erogano le prestazioni diagnostiche».
«I requisiti di ammissibilità dei soggetti erogatori – si legge nel comunicato – riguardano le strutture e non le apparecchiature utilizzate: non è stato richiesto l’utilizzo di determinate apparecchiature a specifica potenzialità erogativa, né sono state escluse le strutture dotate di tecnologie cosiddette “a basso campo”, è stata richiesta la disponibilità, da parte delle struttura accreditate, di strumenti che potessero rispondere alle diverse esigenze del cittadino (quindi apparecchiature con Tesla differenti), nel rispetto dei criteri di appropriatezza del servizio erogato.I requisiti di ammissibilità, in un’ottica di perseguimento di percorsi di qualità complessiva, sono riferiti a requisiti tecnologici, organizzativi, di clinical competence e di qualità del processo diagnostico, anche per garantire un’erogabilità di prestazioni che, ove necessario, non richiedano spostamenti successivi o la ripetizione di esami per i cittadini».
«Tutto questo – prosegue la nota stampa – senza dimenticare il ruolo che ha assunto la medicina difensiva che entra nel merito di “con cosa e come è stata fatta” una diagnosi e con quali strumenti diagnostici, in ambiti per i quali, le cause delle patologie in esame, possono essere altamente complesse. Sono tranquillo – conclude Locatelli – che ogni decisione sia stata presa con l’unico obiettivo di tutelare i pazienti, garantendo la qualità delle prestazioni erogate, senza creare alcun danno al mercato. I dati evidenziati nel report 2018 “Il Sistema di valutazione del network delle Regioni”, a cura della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, mettono in evidenza che la percentuale di pazienti che ripetono le RMN lombari entro 12 mesi è pari al 9,94% (Lombardia 5,79%, Veneto 6,80%, PA Bolzano 7,89%, Umbria 9,62%, Toscana 9,65% e Friuli Venezia Giulia 10,96%) ».
La nota stampa riporta il parere del dott. Alessandro Gastaldo, coordinatore del Diar in materia di diagnostica, che sottolinea: «In questi anni numerose indagini, come risonanze magnetiche (RMN), sono state ripetute perché eseguite, per lo più in sedi con apparecchiature a basso campo e su vari distretti: in particolare colonna, bacino, spalla e nell’ambito dello studio di lesioni focali ossee (dalla osteonecrosi ai tumori dell’osso). Inoltre specialisti come neurochirurghi, chirurghi vertebrali, ortopedici, e chirurghi della mano, pubblici e privati, richiedono sempre di più RMN con specifica richiesta a utilizzare un alto campo. È nell’interesse del paziente poter contare su strutture accreditate che dispongano delle migliori tecnologie per eseguire le prestazioni diagnostiche nel modo più appropriato».