Allo stato attuale delle cose due sembrano le ipotesi ancora in piedi per la soluzione della vicenda Carige: un intervento del sistema bancario italiano che vada oltre la conversione del bond decisa nei giorni scorsi dal consiglio dello Schema Volontario, oppure una ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato. La prima è più auspicabile, la seconda più probabile. È quanto dichiara a Liguria Business Journal Marco Di Antonio, professore ordinario di Economia delle aziende di credito al Diec-Dipartimento di Economia dell’Università di Genova.
Blackrock ha rinunciato a proseguire il dialogo con i commissari che ormai sembrava andare a buon fine. Non sappiamo perché. «Questo non lo sa nessuno. Possiamo solo fare ipotesi, ognuno ha la sua ipotesi. Di fatto BlackRock era tenuta al dovere di riservatezza perché aveva solo espresso una manifestazione di interesse e non aveva fatto la proposta vincolante, se l’avesse fatta sarebbe stata tenuta a rivelare i motivi della sua decisione. Si è ritirata prima, e non penso che dovrà giustificare questa scelta. Le spiegazioni possibili sono tante, ognuno può mettere la sua, e di fatto lasciano tutte un po’ il tempo che trovano. Sembra che nel comitato degli investimenti, quello che ha l’ultima decisione, qualcuno abbia dato un parere negativo».
C’era un solo soggetto interessato, BlackRock: sembra che il mercato stia dicendo che Banca Carige non è così appetibile. «Sì ma bisogna vedere perché. Ci sono vari motivi. Io ritengo Carige una banca fondamentalmente sana, con un grande valore in termini di clienti, di personale, di radicamento sul territorio. Certo, è una banca che ha dei problemi, che però non mi sembrano irrisolvibili. C’è tanto valore in questa banca. Per spiegare questo scarso interesse, bisogna guardare al nostro sistema bancario. Intanto è un sistema che sta facendo fatica, gli npl li hanno in molti, e poi gli attori con dimensioni tali da poter acquisire la maggioranza del capitale di Carige sono pochi e in genere devono ancora digerire bocconi inghiottiti di recente. Intesa ha appena assorbito le due banche venete, Unicredit sta vendendo, sembra avere una strategia molto diversa, e poi ormai è una banca italiana solo in parte, di recente si sono fuse Banco Popolare e Banca Popolare di Milano. D’altra parte le banche più piccole non sono in grado di effettuare un’operazione del genere. In una logica puramente di mercato la ritrosia delle banche italiane non mi stupisce».
Anche quelle straniere, però, alla fine non sono risultate interessate. «Proviamo a considerare l’operazione dal loro punto di vista. Si trovano di fronte a una banca che deve essere ristrutturata in un paese dove queste operazioni non sono affatto facili da portare a termine. Sto parlando di come potenziali investitori potrebbero vedere Carige dall’esterno, non di come Carige effettivamente è: non è affatto detto che siano necessari tagli radicali di filiali e dipendenti».
Rimane la possibilità di un intervento dello Stato, previsto nel decreto Carige, quella ricapitalizzazione precauzionale che i commissari stanno facendo il possibile per evitare.
«I commissari fanno bene a fare di tutto per evitarla, speriamo che riescano a evitarla ma il tempo a questo punto comincia a essere un po’ poco. Si potrebbe arrivare a una soluzione un po’ di mercato ma anche un po’ istituzionale, e cioè a un ulteriore impegno del sistema bancario al di là della conversione del bond. Vedo più facile una soluzione di questo tipo che una puramente di mercato ma la più probabile forse rimane la ricapitalizzazione precauzionale: lo Stato entra, ricapitalizza e appena può esce».