Negli Stati Uniti, i prezzi al consumo di giugno hanno registrato un moderato rialzo, con il dato “headline” al 2,9% annuo (dal 2,8% di maggio) e quello “core” (depurato delle componenti più volatili o stagionali di energia e alimentari) al 2,3% annuo (dal 2,2% di maggio), entrambi superiori al target del 2% della banca centrale, la Fed.
Durante un’audizione al Senato, il presidente Jerome Hayden Powell ha dichiarato che l’economia statunitense è solida, il mercato del lavoro robusto e il trend inflattivo incoraggiante, per cui la Fed proseguirà la rimozione degli stimoli monetari, mediante rialzi graduali dei tassi di riferimento; alla domanda se l’appiattimento della curva dei rendimenti possa significare un segnale d’imminente recessione, Powell ha risposto che non vi è alcun rischio di contrazione dietro l’angolo, ribadendo le proiezioni della Fed per un livello dei tassi sopra il 3% a fine 2020, per cui non deve sorprendere una curva dei rendimenti che si appiattisce a mano a mano che il mercato prezza tali rialzi attesi (avvicinandosi al livello “naturale di lungo periodo”).
In Eurozona, l’indice di fiducia tedesco ZEW di giugno è uscito a -16,1 punti dai +7,9 precedenti, in calo su entrambe le componenti “situazione corrente” e “aspettative”, mentre l’indice “Sentix” di fiducia degli investitori ha segnato un inatteso rialzo; sondaggi a parte, decisamente incoraggiante il più “reale” dato della produzione industriale di giugno, uscito in accelerazione tendenziale al 2,4% dall’1,7% di maggio.
In Cina, accelerano a sorpresa le riserve valutarie a 3.112,13 miliardi dai precedenti 3.110, le vendite al dettaglio al 9% dal precedente 8,5% ed il PIL del secondo trimestre al 6,8% contro il 6,7% atteso ed il 6,7% del primo.
L’ottimismo del presidente Fed, i segnali di tenuta della congiuntura internazionale e la buona partenza della stagione delle trimestrali statunitensi hanno contribuito a mantenere elevata la propensione globale al rischio, con il valore della volatilità implicita (VIX) calcolato sul principale indice azionario statunitense (S&P500) sceso (“a pronti”) ai valori di gennaio sotto il 12% (“a termine” quota, però, in area 14%, segno che gli operatori non escludono nuove fasi di maggiore volatilità per agosto e settembre).
Sul fronte degli annunci societari statunitensi del II trimestre c’è ottimismo e uno studio della banca globale d’investimento Ubs sostiene che le prossime trimestrali batteranno le previsioni degli analisti di almeno il 3% in media, probabilmente, anche supportando una ripresa dei principali indici azionari per il mese di luglio.
L’allentamento delle tensioni politiche delle scorse settimane in Eurozona (Spagna, Italia e Germania) ha determinato un moderato rialzo del rendimento del governativo decennale tedesco (Bund) in area 0,34%-0,36% e una contestuale diminuzione del rendimento dei governativi decennali periferici, compreso quello del nostro BTP, poco sotto il 2,50% e con lo spread verso il Bund, al momento intorno ai 215 punti base, che sembra puntare nel brevissimo termine ai 200. Tuttavia, su un arco temporale di più settimane, l’approssimarsi del dibattito politico in Italia e in Europa per la predisposizione entro settembre della Legge di Stabilità 2019 – con il probabile tentativo del Governo italiano di raggiungere un compromesso tra i suoi ambiziosi obiettivi di politica economica e gli equilibri di finanza pubblica, peraltro recentemente ribaditi dal Ministro dell’Economia Giovanni Tria – potrebbe causare possibili fasi di nuova volatilità dei corsi e dei rendimenti dei nostri titoli governativi.
In una settimana complessivamente positiva per i mercati azionari sia dei Paesi sviluppati (Usa Ue, Giappone, Uk) che dei Paesi emergenti, spicca il calo degli spread e il conseguente recupero dei prezzi delle obbligazioni governative e societarie dei Paesi in via di sviluppo.
Sui mercati valutari, il dollaro statunitense sale sia contro lo yen giapponese, fino ai valori di inizio gennaio in area 113, che contro l’euro, sceso nuovamente verso 1,16. Più nervosa la sterlina inglese, che continua a scontare la telenovela della Brexit, con la Premier May che, nel tentativo di far approvare dal Parlamento britannico procedure meno aggressive, sta, di fatto, rischiando la spaccatura del Partito Conservatore e la caduta del suo Governo, allungando i tempi per accordo con l’U.E. entro marzo 2019
Cosa guardiamo questa settimana
Negli Usa, le vendite al dettaglio e la produzione industriale di giugno; Bank of America, BlackRock, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Microsoft e Ibm annunceranno i rispettivi risultati del II trimestre.
Strategia di allocazione del portafoglio
I fondamentali dell’economia confermano uno scenario di espansione economica sincronizzata nelle principali aree geografiche, in un contesto di graduale rimozione delle politiche monetarie espansive da parte delle banche centrali: la banca centrale statunitense, la Fed, prosegue, per ora, il programma di 4 rialzi (da 25 punti base ciascuno) dei tassi ufficiali previsto per il 2018 (due già attuati il 20-21 marzo e il 12-13 giugno e due da attuare, presumibilmente, nelle riunioni del 25-26 settembre e 18-19 dicembre); la Bce intende mantenere una politica monetaria ancora prudentemente accomodante sui tassi ufficiali almeno fino all’estate 2019 ovvero anche dopo la fine del Quantitative Easing annunciata per il 31 dicembre.
Il focus dei mercati e delle banche centrali nelle prossime settimane sarà sulle possibili interazioni tra prezzi del petrolio e conseguenti livelli dell’inflazione attesa e dei tassi d’interesse a medio-lungo termine, nonché sugli ulteriori sviluppi delle alterne tensioni commerciali, geopolitiche (Medio Oriente) e politiche interne dell’Unione Europea (Germania, Italia, Spagna, Uk).
Pur considerata una volatilità mediamente più elevata rispetto agli anni scorsi, rimaniamo costruttivi sul comparto azionario, che, in ottica di medio periodo e in termini relativi, continuiamo a preferire a quello obbligazionario, dove, in generale, suggeriamo scadenze brevi, dato l’aumento previsto, ancorché graduale, dei tassi d’interesse, a seguito dell’ormai avviata fase di normalizzazione di politica monetaria delle banche centrali. La velocità dei rialzi determinerà il livello di volatilità dei mercati azionari, obbligazionari, delle materie prime e valutari.