L’ipertensione arteriosa colpisce, orientativamente, il 40% delle persone in età adulta e raggiunge picchi del 60-70% nei soggetti anziani. Una condizione patologica piuttosto diffusa che fuori controllo è dannosa per tutto l’organismo e in primis per cuore, cervello e reni. L’Iclas di Rapallo (Istituto clinico ligure di alta specialità) ha deciso di affrontarla con uno specifico percorso di diagnosi e cura.
«Sottostimare il problema − spiega Giacomo Deferrari, responsabile del progetto e fondatore della Società italiana di Nefrocardiologia − e non prendersi cura di se stessi in situazioni di pressione arteriosa elevata, equivale a esporsi – con l’andare del tempo – a un rischio molto alto di pericolosi eventi cerebrovascolari, cardiaci e renali in gran parte prevenibili con la normalizzazione della pressione arteriosa. Innanzitutto dobbiamo comprendere i motivi dell’innalzamento pressorio: il 90-95% dei casi sottoposti all’osservazione degli specialisti vengono classificati quali ipertensione essenziale (o primaria): non è possibile risalire a cause certe. Poi vi è una fetta abbastanza consistente di persone, da indagare in modo accurato, la cui ipertensione è correlabile a disfunzioni renali, endocrine, anomalie vascolari. Una volta escluse le origini documentabili, è essenziale valutare lo stato di salute degli organi bersaglio (cuore, vasi e reni in prima istanza) attraverso la diagnostica in grado di fornire notizie sulla situazione cardiaca e in particolare sulla ipertrofia del ventricolo sinistro, renale e delle carotidi».
Test a cui si deve aggiungere, come spiega Deferrari, «la ricerca di tracce di albumina nelle urine. La presenza di piccole quantità di albumina (una proteina plasmatica), oltre a rappresentare il campanello d’allarme di un danno a livello renale è anche predettore di possibili, pesanti incidenti cardiovascolari. Certo, il quadro di riferimento va poi completato grazie a ulteriori semplici esami ematochimici utili a evidenziare eventuali dislipidemie nonché accertare se il paziente soffra già di diabete o altre malattie del metabolismo».
Aggiunge Deferrari: «Quando l’iperteso è dubbio, oppure non risponde appieno alle terapie in corso, la misurazione della pressione arteriosa nell’arco delle 24 ore – mediante holter pressorio che si attiva automaticamente ogni 15 minuti – è di grande aiuto. Non di rado diverse persone si presentano normotese o quasi durante il giorno, mentre di notte la loro pressione non scende quanto dovrebbe, almeno 20 millimetri di mercurio, svelando così gravi forme d’ipertensione arteriosa».
La terapia dell’ipertensione arteriosa non è solo farmacologica: «L’iperteso deve prima di tutto essere trattato sotto il profilo del riequilibrio metabolico. Gli obesi, per esempio, sono candidati a diventare ipertesi (o lo sono già). Da qui la necessità d’intervenire sulla dieta – favorendo la perdita di peso – sulla riduzione delle bevande stimolanti (caffè soprattutto) e del sale; sulla modifica dello stile di vita incentivando la regolare attività fisica. L’approccio non farmacologico è dunque fondamentale. Il ruolo dei farmaci è comunque importante, specie alla luce delle disponibilità di ritrovati oggi estremamente efficaci e ben tollerati».
L’ipertensione arteriosa è una patologia che si eredita? «Non vi è – diciamo così – una genetica obbligata per l’ipertensione arteriosa. Possiamo invece parlare di una “tendenza familiare”. È più probabile che il figlio di un genitore iperteso sviluppi la stessa malattia», conclude Deferrari.