Il mercato della movimentazione dei container è instabile e se Genova vuole consolidare il suo ruolo di hub forte dell’Alto Tirreno e assumere stabilmente la leadership della portualità nazionale deve ottimizzare gli spazi dedicati all’accesso e alle manovre ferroviarie, dotandosi di un retroporto grande ed efficiente.
La volatilità registrata dal settore del container, iniziata con la crisi macroeconomica, proseguirà per almeno altri quattro anni. È la previsione contenuta in una recente ricerca di SeaIntel, società d’analisi sul trasporto marittimo, ripresa da Trasporto Europa.
L’instabilità riguarda soprattutto l’offerta e la domanda di stiva, un rapporto che cambia velocemente a causa delle condizioni mutevoli dell’economia globale. Ma che ha anche una causa definita come endemica. Negli ultimi 30 anni, infatti, la domanda di trasporto marittimo di container è cresciuta a un tasso dell’8-9% annuo, a fronte della crescita annua dell’11% della flotta mondiale. Percentuali che hanno inciso, e incidono ancora, sui noli e sui costi generali di banchina.
Dunque un mercato ondivago, difficile, che sceglie di volta in volta le flotte per il carico e i porti per mettere a terra. Genova, oggi hub “forte” dell’Alto Tirreno, è teoricamente pronta al proprio nuovo ruolo guida della portualità nazionale. Ma l’assunzione del ruolo deve avvenire in fretta. In Europa, chiaramente, nessuno sta ad aspettare. Perché altrove ci si muove già. Il programma Trans European Transport Networks dell’Unione Europea, infatti, finanzierà per oltre 500mila euro uno studio sull’introduzione dei sistemi di trasporto Intelligenti nell’area portuale di Amburgo, in Germania. Lo studio mira a ottimizzare l’uso delle infrastrutture portuali, a ridurre i livelli di inquinamento legati al traffico ed a aumentare i livelli di sicurezza nelle operazioni di imbarco/sbarco delle merci. Lo studio verrà usato dall’Autorità Portuale di Amburgo per decidere la futura implementazione di nuovi sistemi al termine del progetto, prevista per il 2016. Questo significa aver capito che i soldi vanno dove si congiungono i desideri europei: la coniugazione di crescita e ambiente, nel rispetto del rapporto tra fondi europei concessi e nuova occupazione.
Negli ultimi venti anni i porti della Germania hanno sostanzialmente raddoppiato la quantità di merci gestite, giungendo a superare i 300 milioni di tonnellate. I due porti container di Brema e Amburgo sono, in quota maggiore, i grandi protagonisti della crescita. La quantità di merci movimentate nel porto di Brema «è cresciuta del 261% tra il 1995 e il 2013» (e del 287 a tutt’oggi ndr), come dice un rapporto ufficiale stilato dalle autorità tedesche, mentre nello stesso periodo Amburgo ha visto una crescita dell’83% (al 90% a fine 2015). Il dato, sposato alla realtà italiana, ha riscontri diversi, inferiori alle percentuali del Nord Europa. Lo conferma il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica. Che riprende anche le pubblicazioni più specialistica di ciò che sa di economia del mare. Secondo il Dipartimento, «uno studio della Mds Transmodal ipotizza una crescita dei porti dell’Italia settentrionale da 5 milioni di teu nel 2011 a 12 milioni nel 2030, puntando in particolare sul possibile recupero da parte del Nord-Est (che passerebbe da poco più di 1 milione di teu a 6 milioni) di un ruolo di intermediario tra Asia e Europa centrale, zone ad elevata crescita economica».
Questo scenario è teoricamente compatibile con l’evoluzione media 2000-2011 dell’insieme del settore container italiano. Ma richiederebbe di replicare sul lungo periodo i tassi di crescita realizzati in Italia prima dell’intensificarsi della competizione da parte degli altri porti mediterranei o del Northern Range su costi, velocità, collegamenti ferroviari e stradali, interporti, spazi portuali e fondali. Richiederebbe dunque per poter essere realizzato di vincere la sfida con tutti questi nodi. Non come gli altri quindi, ma i porti italiani, con Genova in testa se la potrebbero giocare o quantomeno mantenere vivi i propri spazi di business. Ma il problema più grande è un altro. Dove svilupparsi: dice il Dipartimento che «con riferimento agli spazi a terra, sebbene la superficie complessiva dei nostri dieci porti più grandi sia dell’ordine di grandezza della superficie del solo porto di Anversa, Le Havre o Rotterdam, gli scali italiani mostrano un rapporto tra superfici destinate alla movimentazione di container e numero di container movimentati simile a quello dei porti del Nord Europa». L’esiguità degli spazi rispetto ai grandi porti del Nord, allo stato attuale, sembra penalizzare più l’accesso e le manovre ferroviarie che l’efficienza della movimentazione dei container in ambito portuale. Il dato che emerge sembrerebbe indirizzare le esigenze di programmazione volte a incrementare la capacità degli scali verso la implementazione di nuove superfici a servizio dei traffici piuttosto che verso nuove opere di accosto.
Che fare, quindi, sotto la Lanterna? Puntare su un retroporto che venga rabboccato dalla gronda oppure restare un porto “piccolo”, ma di nicchia? La geografia dei porti del Mediterraneo sta cambiando velocemente e non tende a favore dell’Italia. È ancora nitida l’istantanea di qualche anno fa dello studio di Assoporti e Srm sul trasbordo container relativa all’incremento del 30% dei porti del Nord Africa. E la concorrenza si andrà intensificando, visto che (fonte Trasporti Italia.com) l’Algeria ha stanziato 3,3 miliardi di dollari per costruire un terminal container da oltre sei milioni di teu a El Hamdania, a un’ottantina di chilometri a Ovest di Algeri. Il nuovo porto con 23 banchine e una movimentazione annuale di oltre 25 milioni di tonnellate.