Scuola come luogo di cultura e insegnamento o fucina di posti di lavoro? Offerta formativa o ridisegno degli orari in funzione dei professori? Gli orientamenti della pubblica istruzione in Liguria sono controversi.
Chiusura delle scuole al sabato: 88 edifici del territorio genovese, che ospitano 66 istituti Ora i ragazzi di licei ed istituti professionali vengono messi sotto pressione fino a 7 ore di “materie” giornaliere. Alcune scuole hanno sbocconcellato qualche minuto a lezione per rendere meno disumana la giornata degli studenti, offrendo qualche minuto in più di riposo mentale. Ma con perdita secca di lezioni. Si era calcolato che i portoni delle scuole chiusi per 34 sabati consentirà alla Provincia un risparmio di un milione di euro fra riscaldamento, energia elettrica ed altre utenze. Visto con gli occhi delle famiglie il provvedimento si legge diversamente: per evitare di consumare soldi in energia e gasolio, si è preferito “bruciare” didattica e possibilità di apprendimento degli studenti. Il problema degli orari “a nastro” è un problema (e grosso) anche per i docenti. Avere a che fare, specie nelle ultimissime ore, con ragazzi spremuti non è certo agevole né utile. Il rischio di “sprecare” ore di insegnamento parlando con chi ha poca presenza cognitiva è reale.
Tra jobs act e Buona Scuola, sembrava che i problemi del precariato tra le cattedre fosse parzialmente risolto e che fosse dunque arrivato il momento di partire a razzo con la serenità necessaria. Circa 800 le “quasi” nuove assunzioni nella scuola in Liguria. La regione che, in proporzione al numero degli abitanti, ne avrà meno. La modesta numerosità di giovani in età scolare lo giustifica. Un investimento pubblico comunque importante, che dovrà avere un impatto forte sulla modernizzazione della docenza.
La riforma, sulla Liguria, è ancora tutta da leggere. E se le premesse sono quelle delle sette ore al giorno, c’è da farsi venire i brividi. Resta il fatto che, nell’opinione pubblica, la scuola sia vista – diversamente dal Nord Europa – più come un’istituzione regolata sui professori che sugli studenti. Una condizione che, per primi, moltissimi docenti non approvano. Ma inutilmente visto che a loro, in via diretta, un parere sembra non lo chieda mai nessuno. E gli esempi, anche nel recente passato, non mancano.
Nessuna battaglia tra parti sociali fu combattuta a fine estate scorsa, per la mancanza del famoso milione di euro nelle casse della Provincia di Genova necessario per pagare il gasolio per riscaldare le scuole, si decise che quelle scuole si dovessero chiudere al sabato. Mancava un milione e allora si decise di allungare l’orario quotidiano dei ragazzi sui banchi. Con che risultato in termini di profitto non se lo chiese nessuno. Forse è più facile buttare il problema addosso alla scuola (intesa come ragazzi che la frequentano e docenti che vi insegnano), ventre molle dell’organizzazione sociale del nostro Paese. Proprio quella scuola che dovrebbe formare, nell’istruzione e nel senso civico, tutti i ragazzi, compresi quelli di Genova.
Per l’anno scolastico che va ad iniziare, nessuno si è più domandato se quel famoso milione di euro per il riscaldamento sia stato reperito. Magari in un anno ce la si poteva anche fare. Ormai, il sabato, scuola chiusa. I ragazzi – studenti delle scuole superiori cosa capiranno? Infatti non hanno capito.
Ma le basi del futuro mostrano crepe profonde. Secondo i dati Istat, la dispersione scolastica in Liguria ha raggiunto il 16,5% nella scuola secondaria di secondo grado, il 16% nel comparto della formazione professionale e il 29,3 % negli istituti professionali. In tutto sono 4 mila gli studenti che hanno lasciato la scuola. Sommati ai 4000 che hanno deciso di rinunciare all’università, fanno un’ enormità. Nel rincorrere, invano, i cosiddetti cervelli in fuga, ci si dimentica di quelli stanziali. È il futuro, dunque, a far paura
I numeri della scuola, a Genova e in Italia, andrebbero probabilmente ristudiati, come già ha fatto l’Europa tramite l’Ocse. Le percentuali sono nazionali, ma la media rispecchia Genova e la Liguria in maniera nitida. Lo studio Ocse parte con una considerazione: “(in Italia) la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria è rimasta stabile per gli ultimi 15 anni, registrando un aumento pari a solo lo 0.5% in termini reali tra il 1995 e il 2010. L’Italia è l’unico Paese dell’area dell’Ocse che dal 1995 non ha di fatto aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria. E non basta. L’età media dei docenti è elevata. I docenti italiani sono i più anziani d’Europa. Se in Francia gli insegnanti attivi prima dei 30 anni sono l’8,2%, in Spagna il 6,1 e in Germania il 4,3, in Italia il dato è quasi senza possibilità di confronto: solo lo 0,4 per cento dei docenti italiani è già titolare di cattedra prima dei 30 anni d’età. Al ritardo col quale si accede all’insegnamento continuativo si aggiungono le specularmente preoccupanti percentuali in uscita: se infatti in Spagna dopo i cinquant’anni è ancora attivo solo il 29,3% dei docenti e in Francia il 32.3. l’Italia svetta su tutti i restanti Paesi dell’Unione con un sonoro 59,3 per cento. Dunque, scuola, che fare? Il capoluogo metropolitano ligure è, per struttura anagrafica, come di consueto, un laboratorio tristemente perfetto per studiarne gli effetti. Sono circa 78mila i genovesi tra gli zero ed i 18 anni, quelli cioè che avrebbero il diritto ed il dovere di poter usufruire della pubblica istruzione o dei servizi comunali equiparati.