Il titolo provocatorio del libro di Grandi e Soffiati non vuol dire che la cucina italiana non esiste ma che è “oggetto di una narrazione in gran parte falsa”. “Centinaia di prodotti tipici e di singole ricette vengono presentati come realtà immanenti, che esistono da sempre e che non hanno mai mutato la loro essenza””, mentre “il tratto distintivo della cucina italiana di oggi è l’innovazione, non la tradizione. È una cucina molto più giovane di quanto comunemente non si creda, il caso, più unico che raro, di un soggetto che vuole apparire più vecchio di quanto non sia in realtà”.
Il vero prodotto tipico italiano, secondo gli autori, è l’innovazione industriale: la contrapposizione radicale di oggi tra prodotto industriale e quello artigianale della tradizione una sessantina di anni fa non esisteva. Anzi, “il gusto italiano si è costruito intorno all’innovazione tecnologica e commerciale più che intorno alle tradizioni, che erano ben poche e tendenzialmente povere”.
L’innovazione tecnologica e commerciale resa possibile dal boom economico, spiegano Grandi e Soffiati, segna una svolta decisiva nell’alimentazione degli italiani che prima aveva come ingrediente principale la fame. Decisivi sono stati l’emigrazione nelle Americhe, lo sviluppo industriale nell’Ottocento e nel Novecento, soprattutto il periodo che va dalla seconda metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Settanta “in cui gli italiani si misero a mangiare cose che non avevano nemmeno mai immaginato”.
Nel continente americano, in particolare negli Usa, gli italiani hanno trovato le risorse economiche per costruire la loro cucina e poi importarla in Italia. La pasta, per esempio, prima dell’emigrazione era un prodotto di nicchia e di lusso, popolare soltanto a Napoli e in pochi altri centri della penisola. Nella stessa Napoli il suo consumo si è diffuso nel corso del Settecento, con l’impiego delle nuove macchine dell’industria pastiaria, la gramola e il torchio e grazie a una fiscalità che non penalizzava i latifondi cerealicoli della Sicilia.
Il libro è denso di informazioni e demistificazioni – una delle più divertenti riguarda la cosiddetta dieta mediterranea – e ci spiega che gli italiani sono ottimi cuochi proprio perché non sono mai stati vincolati da una tradizione di fatto inesistente, bensì sempre aperti alla cucina e agli ingredienti degli altri paesi del mondo. Il capitolo 10 si intitola “L’Italia è una repubblica democratica fondata sulla cucina tipica dalle origini inventate” riprendendo il tema sviluppato in un altro libro di Grandi, pubblicato da Mondadori nel 2023, Denominazione di Origine Inventata, che ha come sottotitolo “Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani”.
Ma perché tutte queste invenzioni, perché rivendicare origini antichissime per prodotti – anche ottimi – che magari risalgono al secondo dopoguerra? Qui il discorso si allarga e il lavoro di Grandi e Soffiati ci fornisce un’indicazione preziosa rimandandoci all’ “Invenzione della tradizione” di Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger (Einaudi), in cui si mostra come spesso tradizioni che ci appaiono, o si pretendono, antiche abbiano un’origine recente e talvolta siano inventate di sana pianta. Sono frutto di una specie di ingegneria sociale e culturale con cui le nazioni moderne hanno legittimato la loro esistenza cercando radici nel passato più remoto. Più in generale le tradizioni inventate rispondono a un bisogno di sicurezza, avvertito nei periodi di veloce cambiamento. Così, proprio mentre l’industria e il benessere hanno rivoluzionato la nostra cucina aprendola al futuro molti si sono rivolti al passato.