“Un ingegnere in Senato. Saggi in onore di Franco Debenedetti”, è una raccolta di saggi, a cura di Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro, pubblicata da IBL Libri.
“Ingegnere, manager nelle imprese di famiglia, alto dirigente in alcune fra le maggiori aziende che hanno attraversato la nostra economia (Fiat e Olivetti), Franco Debenedetti – si legge nella presentazione di IBL Libri – entra in Senato nel 1994, per la coalizione di centrosinistra, e nelle legislature successive si rivela una delle voci più rigorose a difesa delle riforme, della democrazia dell’alternanza e della libera impresa. Editorialista di grandi quotidiani, protagonista, con l’Istituto di Interaction Design di Ivrea, di un generoso tentativo di riportare la nostra impresa sulla frontiera dell’innovazione, è oggi presidente dell’Istituto Bruno Leoni. Animatore mai esausto di battaglie politiche in materia di privatizzazioni, liberalizzazioni, modernizzazione della finanza e del mercato dell’informazione, ha scritto libri come La guerra del trent’anni (con Antonio Pilati, 2009), Scegliere i vincitori, salvare i perdenti (2016) e Fare profitti (2021). Questo liber amicorum viene pubblicato in occasione del suo novantesimo compleanno”.
Autori dei saggi sono Tito Boeri, Michele Boldrin, Filippo Cavazzoni, Natale D’Amico, Carlo De Benedetti, Alessandro De Nicola, Veronica De Romanis, Giuliano Ferrara, Gian Arturo Ferrari, Antonio Foglia, Giampaolo Galli, Jas Gawronski, Oscar Giannino, Francesco Giavazzi, Carlo Lottieri, Michele Magno, Angelo Miglietta, Alberto Mingardi, Deirdre N. McCloskey, Enrico Morando, Angelo Panebianco, Alessandro Penati, Giorgio Pestelli, Augusto Preta, Nicola Rossi, Salvatore Rossi, Riccardo Ruggeri, Alberto Saravalle, Serena Sileoni, Carlo Stagnaro, Francesco Vatalaro e Vincenzo Zeno-Zencovich.
Debenedetti è anche autore di un sito online ( http://www.francodebenedetti.it/ ) dove interviene prendendo spunto dall’attualità. Si tratta di saggi tutti illuminanti, in particolare ricordiamo “Perché dico no a una nuova Iri”, pubblicato il 25 aprile 2023 sulla Repubblica, e “L’impresa improbabile (Il Foglio, 15 aprile 2023), una riflessione sul libro di Paolo Bricco “Adriano Olivetti, un italiano del Novecento”. I due saggi affrontano temi fondamentali nella storia del nostro paese e nella concezione dell’impresa, il ruolo dello Stato nell’economia e il fine dell’azienda.
Sul ruolo dello Stato nella nostra economia Debenedetti interviene commentando uno scritto di Luigi Zanda, “La lezione dell’Iri”, pubblicato dalla Repubblica il 19 aprile 2023. Secondo Zanda “senza l’apporto dell’Iri i governi del boom non avrebbero mai potuto determinare le condizioni di base della ricostruzione e della modernizzazione dell’Italia. Disporre di un parco tanto vasto di partecipazioni può essere per lo Stato uno straordinario strumento di politica industriale”.
Debenedetti ricorda che “nel 1992 tra Iri, Eni ed Efim, (cioè tra Dc, Psi e Psdi) avevano accumulato debiti per 30.000 miliardi di lire, che con la trasformazione in spa di cui lo Stato era l’unico azionista, sarebbero diventati debito dello Stato. Senza l’accordo Andreatta Van Miert quello che secondo Zanda era in ‘gruppo compatto a servizio dellla politica industriale del Paese’ ne avrebbe provocato il fallimento”.
“Il miracolo economico – si chiede il presidente dell’IBL – verrebbe dunque dall’infrastrutturazione e dall’industria pesante spronata e sussidiata dallo Stato? L’una cosa e l’altra le abbiamo avute, per la verità, anche dopo. Ma non abbiamo più avuto il boom. Non sarà che il miracolo qualcosa debba a ciò che non era Stato, alla generazione spontanea di imprese private fuori e lontano dagli interessi della grande impresa pubblica, non cioè nell’industria pesante ma in quel mondo “casa e bottega” che è poi diventato la galassia del “made in Italy”?
Il punto centrale è “l’intrinseco, inevitabile conflitto di interessi nelle imprese controllate dallo Stato ma con partecipazione di azionisti privati. Questi hanno un solo interesse, l’incremento di valore della propria partecipazione. Accanto a questo, l’azionista pubblico ha un interesse prevalente, il potere politico che deriva dal controllo: usa il danaro degli azionisti privati per il proprio potere di controllo”.
Quanto a Adriano Olivetti, Debenedetti parte dal discorso tenuto ai dipendenti dall’imprenditore di Ivrea “Può l’industria darsi dei fini?” il 24 aprile 1955, all’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli. “Si trovano – disse Olivetti – questi semplicemente nell’indice dei profitti?… Non vi è qualcosa aldilà del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”.
“L’Olivetti che, oltre all’espansione in tutto il mondo – osserva il presidente dell’IBL – acquistava la maggiore fabbrica americana di macchine per scrivere, e affrontava i costi per introdurre i calcolatori elettronici, si reggeva sull’autofinanziamento e sul credito bancario: solo davanti al baratro del fallimento Adriano accettò di ricorrere al mercato dei capitali. E questo sarebbe il modello da imitare? Quello di un imprenditore che, a ogni evidenza, non sapeva fare i conti? Al fondo c’è l’assenza dell’idea sulla vera natura dell’impresa. Lo riconosce egli stesso: nel discorso di Pozzuoli, dichiara di non sapere quale sia lo scopo vero di un’azienda, aldilà di quello, che evidentemente considerava falso, di fare profitti. E invece questo implica darsi una corporate governance, una struttura patrimoniale, una pianificazione finanziaria; e anche una politica di distribuzione degli utili. Chi neppure si pone questi problemi è di sicuro un esempio di imprenditore da non imitare. Tant’è che, nonostante l’azienda funzionasse in modo estremamente efficiente, finì per perderla. Non volle mai accettare che l’etica dell’impresa fosse fare profitti”.