Il rapporto tra Europa e Russia, o meglio, tra Russia e resto d’Europa, perché il grande paese che si estende dalla pianura orientale del nostro continente alla Siberia dell’Europa fa parte, è da tempo controverso, instabile e, sempre, potenzialmente esplosivo. La Russia stessa quando iniziò a interrogarsi per definire la propria identità oscillò tra il desiderio di integrarsi nell’Occidente e la rivendicazione di una propria specificità orientale, da ricondursi a una presunta parentela o ai contatti del popolo russo con i “barbari” di ceppo mongolico che vivevano a Oriente dei suoi confini. La cultura primitiva e folclorica del mondo contadino russo avrebbe avuto le sue radici in una civiltà orientale. Per un certo periodo tra Ottocento e Novecento è stato di moda nelle grandi famiglie russe cercare origini tartare e tartarizzare i propri cognomi. E certi intellettuali russi si sono ispirati alla cultura degli sciamani ugrofinnici siberiani. Significativi dipinti di avanguardisti russi si sono rifatti alle tradizioni popolari e sciamaniche, originarie della regione siberiana, da cui il padre della pittura astratta, Kandinsky, rimase ammaliato durante le ricerche giovanili focalizzate sugli studi etnoantropologici.
Il fascino dell’utopia comunista ha poi trasformato la Russia sovietica, modellata sulle teorie di un filosofo tedesco, in un faro abbagliante per una parte delle masse popolari e dell’intelligencija europea: per decenni nulla ha potuto incrinare la fede dei comunisti europei nel paradiso sovietico: neppure le giravolte di Stalin nei confronti dei nazifascisti, con il Fronte Popolare antifascista deciso dal VII Congresso mondiale dell’Internazionale comunista nell’estate del 1935 e poi con “il trattato di non aggressione”, di fatto un’alleanza, del 23-24 agosto 1939 tra Urss e Germania, che fu lo strumento che permise a Hitler di invadere la Polonia e diede avvio alle stragi della seconda guerra mondiale (vedi qui ) e costrinse i comunisti francesi ad applaudire l’ingresso delle truppe tedesche a Parigi.
La fede non sente ragioni. Ancora oggi c’è chi, cercando di salvare almeno una parte dell’eredità del comunismo, si appella all’”eroismo dei comunisti” che hanno stroncato le truppe hitleriane sul fronte orientale: mentre la collaborazione militare e l’interscambio commerciale tra l’esercito tedesco e l’Armata Rossa tra il 1921 e il 1935 avevano permesso ai tedeschi (per i quali il riarmo era proibito) l’ammodernamento dei loro apparati militari e il patto del 1939 aveva poi dato origine alla seconda guerra mondiale. Eroici sono stati piuttosto i popoli dell’Unione Sovietica che hanno avuto (secondo le stime) da 10,4 a 12 milioni di militari uccisi sul campo di battaglia, catturati (e mai tornati) o dispersi contro 5,5 milioni di tedeschi: una proporzione che la dice lunga sul ruolo dei comunisti e di Stalin, nella “Grande Guerra Patriottica”: una banda di criminali e incompetenti che hanno mandato al macello i loro concittadini, decisi o rassegnati a difendere la patria. Solo l’invasione dell’Ungheria nel 1956 e poi della Cecoslovacchia nel 1968 hanno appannato il mito del comunismo sovietico. I giovani rivoluzionari europei del ’68 si sono rifatti ad altri modelli di comunismo, altrettanto bizzarri (Cina, Cuba, Nicaragua) ma non ancora usurati.
Quando l’Urss alla fine degli anni Settanta tentò di «finlandizzare» l’Europa attraverso l’installazione dei missili SS20 nei Paesi satelliti, gli statisti più avvertiti dell’Europa occidentale, in particolare in Germania e in Italia, d’intesa con gli americani reagirono programmando l’installazione dei cosiddetti euromissili (nuove testate nucleari) e si scontrarono con le sinistre, parte dei cattolici e i pacifisti. In Italia ci fu la mobilitazione dei non pochi militanti del Pci e di molti intellettuali, autori di pensosi e fatui editoriali. La contesa in Italia fu risolta solo quando, grazie soprattutto a Cossiga e Craxi, nel dicembre 1979 il Parlamento votò in favore degli euromissili con 328 voti a favore e 230 contrari. E il Pci riuscì a cambiare nome, rinunciando al termine “comunista”, soltanto nel febbraio del 1991, circa due anni dopo il crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989) che segnò la fine del comunismo. Due anni di tormentate e lacrimanti riflessioni mentre le folle nei paesi dell’ex Patto di Varsavia esultavano per la fine dei regimi che li avevano oppressi per cinquant’anni.
L’atteggiamento dell’opinione pubblica e dei partiti europei è cambiato nei confronti della Russia post sovietica. Sembra quasi che Putin faccia più paura di Stalin e dei suoi successori. Non hanno suscitato proteste, in Occidente, gli allargamenti della Nato in funzione anti-russa. Nel 1995 la Nato concluse che l’integrazione dei paesi dell’ex Patto di Varsavia avrebbe contribuito a disinnescare potenziali motivi di conflitto tra alcuni di essi. Repubblica ceca, Ungheria e Polonia vennero invitate ad aderire alla Nato al vertice di Madrid del 1997 e diventarono membri nel marzo 1999. Nel 2004 anche Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia e Romania entrarono nell’alleanza. C’è da chiedersi come reagirebbero gli Usa se Messico e Canada entrassero in un’alleanza con la Russia e la Cina.
La Russia di Putin non ha suscitato entusiasmi tra gli intellettuali, i politici e i giovani in Europa, salvo sciocche ma anche precarie infatuazioni nei settori meno acculturati della nostra classe politica, in particolare nella Lega e in parte nell’M5S: Salvini a Mosca nell’ottobre 2018, secondo quanto riportava il Corriere della Sera, avrebbe dichiarato: «In Russia mi sento a casa mia mentre in alcuni paesi europei no».
Il libro della genovese Mara Morini (ed. IL Mulino), docente di Politics of Eastern Europe e Scienza Politica all’Università di Genova, “La Russia di Putin”, è un documentato e obiettivo ritratto della Russia di Putin che, secondo la studiosa, «è corretto inserire nella categoria dei regimi non democratici sia per il fallimento del suo processo di democratizzazione sia per la mancanza di condizioni minime dei regimi democratici (pluralismo d’informazione, pluralismo partitico, elezioni libere e segrete, rule of law, diritti civili e politici».
Della Russia Morini descrive peculiarità istituzionali, culturali, sociali ed economiche, permettendo così a ognuno di noi di ipotizzare, sulla base dei dati di fatto e non dei trasporti utopistici, quale debba essere l’atteggiamento dei nostri governi nei confronti di questo grande, affascinante e ambiguo Paese.