Lo sport come momento di condivisione tra il mondo esterno e quello del carcere di Marassi nell’ottica di creare una sempre più maggiore integrazione tra la città di Genova e la realtà carceraria e coloro che sono in attesa della fine della pena. Grazie al patto di sussidiarietà Vasi Comunicanti, con contributo di Regione Liguria e Cassa delle Ammende, è tornata la Vivicittà Porte Aperte, una manifestazione che rappresenta un messaggio di integrazione attraverso lo sport.
16 podisti tra i detenuti e 30 podisti esterni hanno dato vita alla speciale edizione di Vivicittà tra l’interno e l’esterno della casa circondariale genovese: tre giri percorsi insieme con la possibilità per i detenuti già inseriti in percorsi di riabilitazione lavorativa di condividere i valori dello sport e ribadire che a chi ha sbagliato va ridata una possibilità senza pregiudizi. Hanno partecipato i gruppi Maratoneti del Tigullio; Gruppo città di Genova; Zena Runners; Team 42195 rappresentato da Emma Quaglia; Atletica Vallescrivia;
Team XIX.
Durante la giornata anche un torneo di calcio a 5 grazie alla squadra Cdm Futsal con gli atleti delle giovanili che hanno sfidato due squadre di detenuti e una di Genova Lex (avvocati). La Cdm Futsal svolge un corso di calcio a 5 all’interno del carcere di Marassi dal settembre 2023.
Anche l’Uisp lavora costantemente nel carcere attraverso il progetto Vasi Comunicanti: attività di yoga, ginnastica, corsi di basket e pallamano. Mariano Passeri ne è il coordinatore: «Organizziamo anche un corso di arbitri abilitante per i tornei Uisp per poi consentire ai detenuti di finalizzarlo una volta usciti. Abbiamo anche lavorato nelle carceri di Chiavari e nella sezione maschile di Pontedecimo».
Le voci dei detenuti sono tutte univoche: c’è voglia di riscatto sociale, ma la vita fuori non è facile. Lo stigma della condanna pesa e in pochi si fidano a darti un lavoro. Chi ha una famiglia magari riesce ad avere un aiuto una volta uscito. Per chi è solo le cose si fanno pesanti quasi subito e la strada torna a essere l’unica alternativa. L’anno scorso Renato Brunetta, presidente del Cnel, aveva sottolineato l’abisso che separa lo spaventoso tasso di recidiva del 70%, stimato sull’attuale popolazione carceraria, con quello di solo il 2%, che si ottiene se si limita l’osservazione ai circa 20 mila detenuti che hanno un contratto di lavoro. Sei condannati su 10 sono già stati in carcere almeno 1 volta perché mancano le alternative.
Il Cnel ha prodotto un disegno di legge depositato in Parlamento e ha avviato numerose iniziative per rendere sistematico il coinvolgimento delle parti sociali e del terzo settore nell’obiettivo dello studio, della formazione e del lavoro dentro e fuori dal carcere e lo stesso Brunetta lo ha ricordato pochi giorni fa quando Stefano Carmine De Michele è stato indicato dal consiglio dei ministri come nuovo capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). «Auspichiamo di sviluppare ulteriormente la collaborazione già in atto tra Cnel e Amministrazione Penitenziaria per raggiungere l’obiettivo comune al centro dell’Accordo sottoscritto nel giugno 2023 con il ministro Nordio, per ridurre in maniera significativa il rischio di recidiva nella commissione di reati al termine del percorso detentivo. Grazie alla sinergia tra Cnel, ministero della Giustizia e con il coinvolgimento del ministero del Lavoro, siamo fiduciosi di poter raggiungere un traguardo fondamentale: ridurre al massimo il rischio di recidiva.
Il problema è che secondo i dati del Cnel, in Italia il 33% dei detenuti risulta coinvolto in attività lavorative (19.153 impiegati nel 2023), ma solamente l’1% di essi è impiegato presso imprese private e il 4% presso cooperative sociali. La stragrande maggioranza, pari all’85%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria (talvolta solo per poche ore al giorno o al mese). Fra i detenuti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, l’82,5% svolge servizi d’istituto. La mancata offerta di opportunità lavorative per i detenuti priva lo Stato di un ritorno sul Prodotto Interno Lordo fino a 480 milioni di euro.
La direttrice del carcere di Marassi Tullia Ardito conferma questi numeri: sono molti, almeno un centinaio, i detenuti che lavorano all’interno della struttura genovese, tra i 15 e i 20 quelli con la formula dell’articolo 21, ossia lavoro esterno, esclusi coloro che sono in regime di semi-libertà. All’interno del carcere di Marassi ci sono attività come la falegnameria gestita da una cooperativa sociale e presto riaprirà il panificio. «Il problema è che non riusciamo a raggiungerli tutti − racconta a margine dell’iniziativa Uisp − vogliamo essere di stimolo, è chiaro che il sovraffollamento non aiuta. Sarebbe bello offrire loro qualcosa di più. La giornata di oggi ci dimostra che è possibile un confronto con la città ed è una testimonianza importante del percorso fatto dai detenuti, non importa la distanza che li separa dalla fine della pena».
«Il progetto Vasi Comunicanti va proprio in questa direzione − conferma Manuela Facco, settore Politiche Sociali, Terzo Settore, Immigrazione e Pari Opportunità Progettazione, integrazione servizi e risorse della Regione Liguria nel momento della premiazione − l’obiettivo è proprio di aumentare questi momenti di condivisione per preparare il detenuto alla prospettiva dell’esterno. Stiamo cercando di coinvolgere sempre di più tutte le comunità territoriali».
Il programma si sviluppa su tre anni, con un finanziamento di un milione e 800 mila euro (600mila euro per ogni annualità) assegnato alla Liguria dalla Cassa delle Ammende, accompagnato con un co-finanziamento di 540 mila euro da parte della Regione.