Ogni versante è destinato all’erosione, alla frammentazione e a franare, è inevitabile. L’uomo spesso pensa che un monte, un alveo, una spiaggia debbano restare immutati e “al suo servizio”, ma non è così e il cambiamento climatico in atto sta accelerando questi processi. Il recente caso della Via dell’Amore, riaperta da poco dopo tutta una serie di lavori e posa di protezioni e di nuovo chiusa per frana, è emblematico. Ci si illude che con la tecnologia e le innovazioni si riesca a far stare su una parete in qualunque maniera: sbagliato. E se all’inizio la progettazione basata sugli studi geologici sembrava sovradimensionata, con l’ultimo episodio di maltempo ci si è resi conto che non lo era affatto per un’ex strada di cantiere percorsa in passato solo da qualche contadino, che dalla riapertura del 9 agosto sino al 17 settembre ha interessato 62 mila persone (questi i biglietti venduti).
Se n’è parlato a margine del congresso nazionale dei geologi a Genova (13-14 novembre), intitolato “Terra! Sfide, innovazione, prospettive“, in cui hanno tenuto banco anche i recenti fenomeni in Spagna e in Italia.
Luigi Perasso, vicepresidente dell’Ordine della Liguria, spiega a Liguria Business Journal: «Purtroppo si sta assistendo a fenomeni meteorologici che generano a terra delle catastrofi vere e proprie e tutte hanno dei fili conduttori analoghi: i corsi d’acqua di una certa entità magari vanno in sofferenza ma riescono a contenere le acque, mentre la rete idrografica minore, quindi i corsi d’acqua più piccoli e che purtroppo sono anche forse i più trascurati perché è più difficile mantenerli puliti, vanno in crisi perché non possono ricevere e smaltire correttamente le acque».
A contribuire agli allagamenti, in alcuni casi vere e proprie inondazioni è un’altra cosa che spesso si sottovaluta: «Ad andare in crisi − rileva Perasso − spesso è la rete di smaltimento delle acque meteoriche. Le caditoie convogliavano l’acqua in condotte che magari fino a qualche anno fa potevano essere sufficienti a smaltire le precipitazioni. Oggi non più, sarebbe da riprendere e ridisegnare completamente sia il tessuto urbano lontano dai corsi d’acqua, sia la rete di smaltimento e di drenaggio sottostradale. Spesso non sono i torrenti a esondare, ma è semplicemente la pioggia che si è concentrata sulla strada asfaltata, quindi impermeabile, che diventa un fiume».
È chiaramente impossibile rivoluzionare le città tutte insieme, ma qualcosa intanto si potrebbe fare a livello di prevenzione, secondo i geologi occorre anche guardare a monte: «L’abbandono e la trascuratezza dei versanti è uno dei fattori scatenanti del dissesto idrogeologico in generale e dei problemi a valle. In Liguria c’erano i muretti a secco e i boschi puliti perché la legna serviva per il riscaldamento. Oggi i boschi non trattengono più l’acqua come un tempo e il problema a monte genera quelli a valle, verso il mare».
In un territorio complesso e ripido come quello ligure da dove partire? «Fondamentale, secondo me – sostiene Perasso – è avere una visione settore per settore, vallata per vallata, di quali possono essere le problematiche e cominciare ad affrontarle, partendo o dai dissesti attivi o da quelli in crescita o da quelli stabilizzati. Oppure pensare prima alle strade di fondovalle: sono nell’alveo dei corsi d’acqua? Sono a un’altezza tale che se non intervengo si creano problemi? Bisognerebbe mettersi tutti intorno a un tavolo e cominciare a ragionare poco alla volta sugli interventi che sono necessari da fare. Importantissima anche la manutenzione come la rimozione di tronchi d’albero abbandonati che potrebbero fare da diga se trasportati dall’acqua, soprattutto nei rivi di piccole dimensioni. Dall’altro lato spesso è impossibile mandare un escavatore a pulire un torrente che magari ha un’inclinazione importante ed è molto stretto. Occorrerebbero squadre di operai. Di lavoro ce n’è tantissimo». Purtroppo poi bisogna convivere con gli aspetti normativi, che non aiutano: «In teoria la pulizia dei corsi d’acqua spetta ai cosiddetti frontisti, cioè i proprietari dei terreni che danno sul torrente, ma molto spesso non accade. Oggi non è neanche più possibile il recupero di materiali a titolo volontario: legno, fronde. Speriamo che si possa creare una sorta di procedura rispettosa della normativa e creare tutta una serie di facilitazioni in maniera tale che se io voglio andare a pulire la vegetazione non devo aspettare mesi prima dell’autorizzazione».
L’innovazione può dare comunque una mano. La Liguria, intanto, secondo Perasso ha «uno dei migliori servizi di protezione civile e quindi di allertamento e previsione dei fenomeni meteorologici. Grazie ai computer sempre più potenti, ora addirittura l’intelligenza artificiale che verrà coinvolta in vari sistemi di monitoraggio e di previsione meteorologica, può essere molto utile avere un quadro della situazione prima che si verifichino determinati fenomeni catastrofici. Quello che mi ha impressionato a Valencia è il ponte che di colpo è stato travolto dalla corrente su cui c’era circolazione sia di macchine sia di persone. Solo dopo si è saputo che l’allerta era stata data in ritardo. A livello regionale in Liguria comincia a circolare la voce già uno o due giorni prima».
Tornando ai versanti il loro destino è proprio frammentare e la convivenza con questo aspetto è inevitabile. Per questo occorre appunto averne consapevolezza e soprattutto essere il meno invasivi e il più rispettosi possibili.
«Perché un fiume − ricorda Perasso − se è nato in una determinata posizione, c’è un motivo. È che la legge gravitazionale e la morfologia, in continua evoluzione, ha fatto in modo che il fiume, per un determinato periodo di tempo, debba passare in quella zona. Poi con l’evoluzione dei versanti magari si sposta un po’ e se non c’è nulla che lo costringe, lui divaga. Se io vado a confinarlo lungo delle sponde, prima o poi il fiume torna a fare il percorso originario».
Le istituzioni a volte ascoltano i geologi, a volte si ostinano a proseguire con i propri obiettivi e progetti.
Tornando alla Via dell’Amore, le previsioni dei geologi (Perasso è stato coinvolto agli inizi, prima di lasciare lo studio professionale incaricato) su quanto fosse necessario per ridurre il rischio si sono dimostrate corrette e le protezioni hanno comunque fatto il loro dovere. Altre volte, però, alcune opere vengono realizzate senza tenere conto delle previsioni dei professionisti perché implicano automaticamente un aumento delle spese. Il problema è che poi si spende molto di più quando si va a intervenire in emergenza o in somma urgenza: «In prevenzione si spenderebbe magari 10 milioni. Sembra caro, ma in somma urgenza la cifra salirebbe almeno a 100 milioni. Con una pianificazione a monte, ragionata e fatta in tempi di “pace”, si riuscirebbe a organizzare tutta una serie di interventi che poi non si andrebbero a realizzare dopo il verificarsi di un’alluvione o di una frana di grossa entità e dove non c’è quasi nemmeno il tempo di dire sì alla soluzione più corretta».