“Sparta” di Laura Pepe (Laterza) cerca di chiarire che cosa fu realmente questa città al di là degli stereotipi con i quali è stata rappresentata dai secoli VI e IV a. C., quando dominava il Peoloponneso, fino a oggi. Operazione non facile perché le informazioni su Sparta provengono quasi tutte da fonti non spartane, specialmente da autori di Atene, la polis rivale e poi nemica.
“Ritornare a Sparta oggi – scrive Pepe – significa decostruire il cliché per provare a riscoprire e ricomporre la città (…) operazione complicata che lascia aperti parecchi dubbi (…) gli studiosi si sono confrontati in un dibattito energico, alcuni per sostenere che nel panorama greco Sparta fu una polis fuori dal comune (soprattutto ma non solo per il controllo capillare che esercitava sugli individui e per il suo militarismo), altri al contrario per sottolineare come, pur con le sue specificità e i suoi tratti distintivi), Sparta sia stata una ‘normale’ città greca” (pag 217-218).
L’autrice parte dal sistema di educazione pubblico, probabilmente non così spietato come si crede e si è creduto, ridimensiona la leggenda dell’eliminazione dei bambini deboili e deformi, ci mostra che, per certi aspetti, le donne spartane erano più emancipate delle donne del resto della Grecia. E che gli spartani non si occupavano solo di esercizi fisici e della guerra, ma amavano e praticavano anche la musica e la danza. Sulla valenza culturale civile della musica, a Sparta e altrove, si potrebbero scrivere volumi, sta di fatto che “la città era riconoscibile non solo e non tanto per il suo addestramento militare ma soprattutto per il suo essere laboratorio musicale estremamente vivace e fucina di molte innovazioni” (pag. 141).
Bisogna tenere presente, comunque, che nei simposi di tutte le poleis una parte importante, insieme al vino, giocavano i canti e la musica. E che a Sparta la musica era concepita in stretta relazione con la guerra, non soltanto nel momento della marcia – come una volta in tantissimi eserciti nel mondo – e nel combattimento ma nella formazione del cittadino.
Gli spartani vivevano del lavoro degli schiavi della Messenia e dell’Arcadia. La loro uguaglianza, diventata stereotipo, riguardava pochi: chiunque non fosse libero, maschio e cittadino veniva discriminato. Ma “Questo vale per ogni altra città antica – precisa la studiosa – vale anche per Atene che non è raro sentire magnificare come luogo ideale di democrazia e cultura e che quanto a uguaglianza e discriminazione non era poi così diversa dalla sua storica rivale” (pag. 218).
Sparta per noi è importante, nota la stessa Pepe, citando a sua volta Elizabeth Rawson, non solo per quello che è stata in effetti ma per quello che si è pensato e si pensa tuttora che fosse. Già ai tempi del suo massimo fulgore la città aveva ammiratori – anche ad Atene – e critici. In Europa tra fine del XVII e inizio del XVI secolo la sua valutazione si è inserita nella Querelle des anciens e des modernes ed è diventata uno dei miti dell’Illuminismo. C’è chi l’ha presa a modello di democrazia e di virtù come Rousseau e chi, come Voltaire, ricordava che Sparta, con la sua sobrietà, non aveva lasciato nessun tesoro artistico e culturale mentre il lusso e la ricchezza non avevano impedito ad Atene la fioritura di opere immortali.
In Francia Robespierre e Saint Just provarono a realizzare gli ideali spartani di uguaglianza e virtù. Ne è nato il Terrore e, dopo l’eliminazione dei due leader giacobini nel 1794, il nome di Sparta è rimasto associato agli orrori di quel periodo storico e l’entusiasmo nei suoi confronti è scemato.
Hitler e il Terzo Reich hanno preso Sparta come modello per la sua politica razziale ed eugenetica. “Il dominio di seimila Spartani su trecentocinquantamila Iloti – scrive Hitler in un passo del Mein Kampf citato da Pepe (pag. 209) – era pensabile solo in considerazione dell’alto valore razziale degli Spartani. Ma questo fu il risultato di una sistematica opera di preservazione della razza: Sparta deve essere ritenuta il primo Stato razzista. L’esposizione dei bambini malati, deboli, deformi – in una parola il loro sterminio – era cosa ben più dignitosa, e in verità mille volte più umana rispetto alal squallida follia attuale …”. Con la fine del Terzo Reich Sparta è tornata a essere un modello deteriore, come dopo l’esperimento giacobino.
“Illuministi francesi, rivoluzionari giacobini, nazionalsocialisti, estremisti dei tempi più vicini ai nostri – osserva l’autrice – . Tutti hanno amato Sparta e l’hanno amata per motivi diversi. Lo hanno fatto accontentandosi di un’idea, di un miraggio, sfrondando tutto ciò che era loro inutile, o contrario ai loro scopi, per ritagliarsi una Sparta su misura”. Laura Pepe, nonostante la scarsità delle fonti, è riuscita farci conoscere una realtà ricoperta da cliché accumulati nel corso di duemilacinquecento anni.