“Fiamme dal passato” di Paolo Mieli (Rizzoli) ci mostra come gli incendi che stanno divampando alle porte dell’Europa occidentale (Ucraina, Gaza) siano scaturiti da braci che covavano sotto le ceneri dal secolo scorso e come i due avvenimenti siano connessi: siamo «Obbligati a constatare che non si trattava di conflitti ai margini dell’Europa o del Medio Oriente. Ma della potenziale messa in mora dell’intero ordine mondiale». La storia non è finita, come ingenuamente alcuni hanno pensato, con il crollo dell’Unione sovietica e il venir meno della guerra fredda, seguite dalla conversione della Cina a un’economia capitalista e aperta alla globalizzazione, ma neppure comincia oggi, quando siamo costretti ad ammettere che la guerra non riguarda solo le periferie (per noi) del mondo e che la deterrenza è indispensabile anche all’Europa per sopravvivere.
Per mostrarci la trama di cui gli eventi di oggi fanno parte, Mieli ripercorre momenti chiave del secolo scorso, delle tre dittature, comunista, fascista, nazista, e (per quanto ci riguarda direttamente) dell’Italia di Croce, di D’Annunzio, di Mussolini, della Dc. Una rassegna di analisi esemplari per la loro chiarezza.
Ciascuna di queste analisi è accompagnata dall’indicazione di libri da leggere sull’argomento. E questo, secondo noi, è uno dei meriti principali del lavoro di Mieli: che è da leggere una volta tutto d’un fiato per coglierne il significato complessivo e poi da tenere a portata di mano per consultarlo quando si vuole approfondire la conoscenza di un argomento storico-politico di attualità (e l’attualità ha sempre radici nel passato, anche lontano).
Lo storico-giornalista nel suo libro applica il sistema adottato in “Passato e presente”, programma di approfondimento storico che conduce per Rai Storia. Un appuntamento quotidiano che racconta la storia nelle diverse epoche facendola illustrare da tre studiosi, due giovani e uno affermato, al quale, al termine della trasmissione, Mieli chiede di consigliare tre libri da leggere sull’argomento trattato. In “Fiamme dal passato” è lo stesso autore a suggerirci le letture. Certo, ogni libro di storia ha un capitolo dedicato alla bibliografia, anche quello di Mieli, ma qui l’autore inserisce le sue indicazioni bibliografiche nel corso dell’analisi di ciascun argomento: con il risultato di farci capire subito l’importanza di un determinato libro per la comprensione del tema analizzato.
Un altro motivo per leggere “Fiamme dal passato” è evidente soprattutto in tre capitoli: “Così smettemmo di pensare alla guerra”, “Il complesso di colpa” dell’Occidente” e “La rivincita del patriottismo”. Il primo, documentatissimo, ci mostra il processo che ci ha portato a ignorare la guerra, e il fatto che se la nostra Costituzione, all’articolo 11, prescrive che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, l’articolo non può impedire che altri non soltanto non condividano questo ripudio ma siano persino disposti a offendere anche la nostra libertà.
Mieli, in proposito, cita Galli della Loggia: “La rovinosa sconfitta bellica. La lunga prevalenza di due culture politiche come quella cattolica e quella comunista. L’altrettanto lunga e incessante propaganda ‘pseudopacifista’ (‘pesudo’ perché in realtà soltanto antiamericana) della sinistra. La predicazione per la pace da parte della Chiesa” … “tutto ciò ha finito per far sì che nell’opinione pubblica del nostro Paese si siano affermati in larghissima misura due orientamenti assai poco in sintonia con i tempi che si annunciano” (pag. 191). Il primo è “il rifiuto di ammettere che la guerra non nasca dalla insopprimibile tendenza degli Stati al mantenimento o all’accrescimento del proprio potere in tutte le sue forme”, il secondo “il rifiuto quindi dell’idea che dotarsi di un valido strumento militare rappresenti uno degli strumenti ovvi, anche se all’apparenza contraddittori, per mantenere la pace”. (pag. 192).
Nella “Rivincita del patriottismo” Mieli si rifà a un testo di Andrea Graziosi spiegando che siamo costretti a constatare come esista una parte forse maggioritaria di italiani e italiane la quale non riesce proprio a concepire che “per la salvezza della propria Patria aggredita da un esercito invasore” ci sia “un popolo disposto a sacrificarsi o lottare fino ad accettare la prospettiva della morte”. Il capitolo è denso di motivi e, secondo il metodo Mieli, di riferimenti a studi significativi. Forse sarebbe stato opportuno un chiarimento esplicito e teoretico dei termini patriottismo e nazionalismo – anche se la distinzione non manca, specialmente nei riferimenti alla guerra russo-ucraina – e dell’artificiosità e pericolosità del concetto di Stato-nazione.
Molto bello e illuminante anche il capitolo “Europa, un continente di doppiogiochisti”, che parte dal 500 e dice molto anche sulle vicende di oggi, ma tutto il libro lo è.