Oggi il contatto diretto Sud/Nord avviene su scala globale in due luoghi del mondo: lungo la frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti e nel Mediterraneo. Il nodo centrare del libro di Egidio Ivetic “Sud/Nord” (Il Mulino) è il Mediterraneo, dove la maggior parte della ricchezza sta nella sponda Nord e la maggior parte della popolazione in quella Sud. E la parte europea non ha una politica mediterranea: si discute, cercando faticosamente una linea di comune, di immigrazione, pesca, ambiente, epifenomeni generati dal fenomeno essenziale, che è l’asimmetria economia e demografica, finora non affrontato.
Che cosa si può fare nell’interesse delle due sponde?
Forse una nuova consapevolezza sta maturando in Europa. Il 15 giugno scorso al summit del G7 in Puglia, guidato dalla presidenza italiana, la presidente Meloni ha incontrato il presidente della Banca africana di sviluppo Adesina, per discutere l’avvio di una serie di iniziative congiunte nell’ambito del Piano Mattei per l’Africa del governo italiano. La Banca africana di sviluppo sarà uno dei partner strategici dell’Italia: un accordo bilaterale prevede che la Banca africana eguaglierà i contributi per ogni progetto che sarà finanziato dal Fondo speciale multidonatori. L’Italia ha annunciato un impegno di circa 150 milioni di dollari in prestiti e sovvenzioni. L’iniziativa italiana affiancherà il Global Gateway (300 miliardi entro il 2027), la strategia dell’Unione europea che coordina gli sforzi economici e politici in risposta alla Via della Seta cinese, il programma di investimenti che mira ad aumentare l’influenza e la proiezione internazionale della Cina fino all’Africa e all’America latina.
C’è chi denuncia una scarsità delle sovvenzioni europee ai paesi africani. Secondo The One Campaign la quota di aiuti all’Africa di G7 e Unione europea ha raggiunto il minimo storico del 25,8 % nel 2022. Ma non sono le sovvenzioni a risolvere il problema, anzi possono aggravarlo. Settant’anni di aiuti all’Africa, in parte ispirati dal rimorso degli ex colonizzatori, hanno prodotto nel continente corruzione, deresponsabilizzazione, inefficienza, hanno messo in difficoltà i produttori locali e arricchito classi dirigenti parassitarie e corrotte. Le risorse erogate con il piano europeo non dovranno essere elemosine ma mezzi per costruire un partenariato con il mondo africano e arrivare a un’economia integrata. Un volano per lo sviluppo di entrambe le parti. È un disegno che non ha garanzia di riuscita, non bisogna farsi illusioni, ma non è affatto velleitario. L’Africa non è quell’inferno di miseria e guerre che viene rappresentato di solito da nostri media. A questo proposito è illuminante il libro di Federico Rampini “La speranza africana” (Vedi qui) che ci mostra una realtà multiforme e contradditoria. Un terra dove la povertà è ancora diffusa ma in calo, ricca di risorse naturali e di energie, con aree di miseria ed economie in sviluppo e mercati in espansione. Le due sponde possono dialogare, non sulla spinta della compassione da una parte e del rancore dall’altra, ma sulla base di un comune interesse.