“Sergio Marchionne” di Tommaso Ebhardt, pubblicato da Sperling & Kupfer, è tornato in libreria con un’edizione aggiornata e ampliata. Ebhardt, direttore della redazione di Bloomberg News di Milano, Marchionne l’ha conosciuto da vicino: lo ha inseguito per dieci anni da un capo all’altro del mondo, dal Lingotto a Detroit, a Wall Street, fino alla sua casa in Michigan, raccogliendo battute, interviste (rare), incontri a due, a microfoni spenti, dal dicembre 2008, quando nasce l’operazione Chrysler, fino alla morte del manager, il 25 luglio 2018.
Marchionne era entrato in Fiat come amministratore delegato il 1° giugno 2004. Lo aveva designato suo erede, poco prima di morire, Umberto Agnelli, che lo aveva conosciuto e apprezzato alla guida di una controllata del gruppo, la società di certificazioni Sgs, Société Générale de Surveillance.
Al suo arrivo a Torino il manager abruzzese-canadese aveva trovato una società tecnicamente fallita, che perdeva cinque milioni di euro al giorno. Il bilancio del 2003 era stato disastroso, i debiti finanziari ammontano a 22 miliardi. La Fiat era in mano alle banche creditrici che, se non fossero state rimborsate, alla scadenza fissata nel 20025, sarebbero diventate sue azioniste, e di fatto proprietarie. L’atto finale sarebbe stato, probabilmente, l’ingresso della mano pubblica, con gran soddisfazione di una parte dei sindacati e dei partiti e, per l’ex colosso torinese, un destino da Alitalia.
Marchionne da subito riporta efficienza in un gruppo che si era anchilosato nel tempo, rinegozia il debito con le banche, dal 2004 crescono il fatturato e il numero dei dipendenti e il patrimonio netto supera 10 miliardi di euro. Nel 2005 mette le basi per quello che è il capolavoro della sua gestione: l’accordo con la Chrysler. E proprio con il racconto di questa operazione, nel 2008, inizia il libro di Ebhardt. Ma vale la pena di ricordare l’antefatto.
Paolo Fresco, al timone della Fiat dal 1998 al 2003, aveva negoziato l’integrazione della casa torinese nella General Motors. Per 12 miliardi. GM partì il 13 marzo del 2000 rilevando il 20% di Fiat Auto in cambio del 5,15% delle proprie. Fresco riuscì a strappare una clausola di garanzia fondamentale: a richiesta di Fiat, gli americani sarebbero stati obbligati a comprare il restante 80% oppure a pagare una penale. Così, grazie a quella clausola, quando la posizione dell’azienda torinese sul mercato si deteriorò, e GM cercò di tirarsi indietro dall’affare, Marchionne combatté una dura battaglia con gli americani fino alla vittoria del 24 febbraio 2005: GM rinunciò all’acquisto restituendo gratis il 20% di azioni e pagando una penale di due miliardi di dollari.
Con quelle risorse l’ad di Fiat proseguì nell’azione di risanamento del gruppo e si trovò poi nella posizione di tentare l’avventura Chrysler. Ebhardt ce la ricostruisce in presa diretta, come ricostruisce i successi e le sconfitte del manager nei successivi dieci anni, il tentativo fallito di integrare FCA con General Motors, la sfida posta dalla crisi globale, il successo delle operazioni sui marchi e dello scorporo di Ferrari, le prospettive aperte dall’auto elettrica e da quella a guida autonoma, dall’integrazione tra auto e web, l’abbattimento del debito. Ci descrive le caratteristiche della leadership, le strategie manageriali, le convinzioni più profonde di uno dei manager più visionari del nuovo millennio. Il libro è sia una ricostruzione di fatti sia una biografia psicologica. E l’obiettivo di Ebhardt non è tanto quello di svelare segreti da insider ma di indurre il lettore a rispondere a queste domande: chi è stato Sergio Marchionne, e che cosa resta della sua eredità?
Si tratta di un’eredità ideale e fattuale. Marchionne ha dimostrato che anche in un Paese come il nostro, spesso restìo al cambiamento, si possono fare cose che sembravano impossibili. L’autore cita nella prefazione un passo della lectio magistralis che il manager ha tenuto all’Università di Trento il 2 ottobre 2017.
“Il viaggio – ha spiegato Marchionne – alla scoperta di sé può essere pieno di insidie, ma dovrete compierlo in autonomia, senza evitare gli ostacoli. Cercate da soli la vostra strada, cambiatela tutte le volte che volete, seguite i vostri sogni. Non lasciate che l’educazione, le abitudini, i vostri stessi preconcetti diventino una prigione. Abbiate sempre il coraggio di cambiare voi stessi – le vostre idee, il vostro approccio, il vostro punto di vista – perché è l’unico modo per cambiare le cose che non vanno e per migliorare la vostra vita e quella di tanti altri. E mentre cercate la vostra strada, tenete a mente chi volete diventare. Pensate a quale impronta volete lasciare, a quale differenza volete fare. Rimanete ambiziosi nei vostri obiettivi, perché rassegnarsi a una vita mediocre non vale mai la pena”.
Resta da vedere in quale misura questa eredità ideale verrà messa a frutto.
Sul piano operativo, Marchionne durante i quattordici anni alla guida del gruppo ne ha più che decuplicato il valore globale in Borsa. Ha trasformato Fiat da azienda italiana sul punto di fallire o di essere statalizzata (sommando alla sciagura dei dipendenti quella dei contribuenti) a sesta società automobilistica al mondo. Ha salvato migliaia di posti di lavoro e messo le sue aziende nella condizione di affrontare con possibilità di successo la quarta rivoluzione industriale e ha azzerato il debito. Oggi Fca è in Stellantis: non sappiamo quale saranno il ruolo del gruppo italo-americano e quello dell’Italia come paese produttore di automobili nel futuro in questa galassia. Come ha detto Marchionne nel discorso di Trento, citando il premio Nobel per la Fisica, Niels Bohr, “Fare previsioni è molto difficile, specialmente se si tratta del futuro”. Ma è certo che se FCA e l’Italia hanno delle carte da giocare, in buona misura lo devono al grande manager italo-canadese.
Che pure è stato accusato di avere portato l’auto fuori dell’Italia e di avere calpestato i diritti degli operai. E qui risulta evidente uno dei meriti dell’opera di Ebhardt: seguire l’attività del manager che pendola tra l’Italia e gli Usa lo porta a rappresentare i due contesti operativi e induce noi a paragonarli: negli Usa Marchionne è stato considerato un eroe dagli stessi lavoratori della Chrysler che per superare la crisi hanno accettato di ripartire da zero, in Italia si è parlato di ricatto, è occorso un referendum, vinto per un pugno di voti, per fare passare il nuovo contratto che uniformava i diritti dei lavoratori italiani con quelli degli altri dipendenti del gruppo. Non sono soltanto i Camusso, i Cremaschi, i Landini a frenare lo sviluppo dell’Italia. “La questione – confida Marchionne al giornalista nell’aprile 2011 – è che l’Europa, e in particolare l’Italia, non è capace di fare come fanno negli Stati Uniti: abbracciare il cambiamento e ringiovanire costantemente le proprie produzioni, processi e abitudini: Qui si respira resistenza a ogni rinnovamento, ed è proprio per questo che il nostro tentativo di rilancio delle attività industriali nel Paese è un problema molto, molto complesso (…) La verità è che, in questo periodo difficile, non ho visto uno degli altri leader industriali del Paese che mi sia stato vicino, che mi abbia dato un vero supporto. Quando qualcuno di loro mi fa tutti questi complimenti sul coraggio che abbiamo di rompere con il passato, mi viene da rispondergli: ma dove siete voi quando inizia la vera battaglia? Si nascondono, si nascondono tutti quanti!» (p.79-80)
Secondo alcuni analisti Marchionne ha vinto la scommessa industriale ed è stato sconfitto in quella delle idee in Italia. Se è così, non ha perso solo Marchionne ma anche l’Italia.