Dal recente report di Infocamere sull’andamento della presenza delle società straniere nel capitale delle aziende manifatturiere italiane (campione Italia 214.000 aziende), nella classifica per numero di aziende partecipate, la Liguria si colloca per attrattività all’undicesimo posto con 112 aziende.
Al primo posto c’è la Lombardia con oltre 2000 aziende, seguita da Veneto (668 aziende) ed Emilia Romagna (559 aziende).
Guardando la Liguria, al di là del numero assoluto si osserva una crescita di investimenti stranieri nelle aziende del territorio, soprattutto nelle pmi: nel 2022 sono 112 le aziende industriali con presenza straniera – in crescita del +33% rispetto alle 84 rilevate nel 2017 – e di queste 79 sono quelle nelle quali un singolo azionista estero ha la maggioranza assoluta (dato in crescita rispetto alle 55 contate nel 2017).
«In realtà sono numeri sottodimensionati rispetto al vero potenziale di attrattività del tessuto di imprese del territorio – commenta il mid-cap investor Giovanna Voltolina – che, certificano gli ultimi dati di Confindustria, vanta più di 3.000 pmi (rilevazione 2021) in crescita del +4,6% rispetto l’anno precedente, più della media nazionale (4,2%)».
Lo spiraglio, agli occhi dell’investor, è quella piccola evoluzione per la quale aziende e venture capital stranieri stanno iniziando a investire nelle nostre pmi. E non solo rilevandone la maggioranza, ma anche in cosiddetta modalità “expansion” ovvero con investimenti di minoranza in aumento di capitale finalizzati alla crescita dell’azienda.
Secondo il recente report (primo semestre 2023) pubblicato da Aifi – Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt e pwc, l’ammontare investito complessivo e a livello nazionale (estero e Italia) è calcolato a 3.189 milioni di euro, peraltro in forte in calo (-71%) rispetto al primo semestre del 2022, (eccezionalmente caratterizzato però da operazioni importanti a valore). Di questi il buyout (acquisizioni di maggioranza o totalitarie) cuba 2.215 milioni, disegnando una decrescita del -39% rispetto al periodo nell’anno precedente; il venture capital (investimenti in imprese nella prima fase di ciclo di vita, startup, ecc.) assomma 410 milioni (in calo del -7%).
«Invece l’expansion – commenta Voltolina – ha generato 210 milioni, quindi poco, pochissimo, ma in aumento del +13%. Uno spiraglio che per piccolo che sia indica invece con grande forza la strada su cui davvero bisogna investire, unitamente a una cultura del lungo periodo, quella cioè in cui il passaggio generazionale non sia più, così come invece oggi è, il tramonto della pmi».
«Nella realtà il problema a questo sviluppo è una combinazione di fattori – dice la mid-cap investor – che da una parte allontanano l’imprenditore a scegliere di aprire il capitale a un investitore, sia italiano che estero e dall’altra rendono difficile per l’investitore portare avanti un investimento di minoranza nell’azienda; dalle strutture di governance che si devono poggiare su un ordinamento giuridico e norme troppo complesse e obsolete e un sistema giudiziario che rimane uno dei più lenti in Europa. Vi è poi – continua Giovanna Voltolina – il tema generazionale che vede i ‘vecchi’ capitani d’impresa non essere riusciti a costruirsi una solida successione e quindi un futuro per l’azienda; nonché quello della burocrazia e delle politiche economiche, nazionali e regionali, stravolte e ad ogni cambio di Governo».